Endimione o l'uomo della luna

~ John Lyly

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    JOHN LYLY
    Endimione o l'uomo della luna

    Sta in Teatro inglese del Medioevo e del Rinascimento, pp. 80, traduzione di Fernando Ferrara, Sansoni, Firenze, 1963.

    Fonte

    John Lyly (1554-1606) fa parte dei cosiddetti "university wits" gli "ingegni universitari", quel gruppo di drammaturghi elisabettiani arcicolti (appunto Lyly, e poi Peele, Marlowe, Green) che conoscevano latino e greco e le relative letterature classiche, educati alle lettere nelle università-bene del tempo, che erano, manco a dirlo, Cambridge e Oxford.
    È facile situare nella cronistoria letteraria dell'epoca Lyly, perché è nato esattamente dieci anni prima di Shakespeare e dieci anni prima di lui è morto, anch'egli cinquantaduenne.
    Fu uno scrittore molto prolifico, in prosa, non in versi, e a lui si deve il romanzo Euphues or the anatomy of wit (1578) che diede il nome all'eufuismo, quel genere letterario tipicamente barocco che noi italiani chiamiamo marinismo, gongorismo gli spagnoli, caratterizzato da una scrittura formalmente molto manierata e fiorita, ricca di ricercatezze, di metafore, di preziosismi. Euphues, in greco significa "ben conformato", "di bella natura" ed è un romanzo, oggi, quasi illeggibile, stracarico di allegorie. Narra dello scontro di mentalità fra un giovane ateniese che giunge a Napoli e che scopre corruzione e malcostumi. Fuor di metafora il giovane è uno studente di Oxford che giunge a Londra e si imbatte nella corrotta società italiana che faceva tendenza all'epoca, irreligiosa e immorale. Il romanzo ebbe tale successo che Lyly ne fece un sequel, Euphues and his England, altrettanto illeggibile oggi. I due romanzi, non per il loro contenuto, ma per il linguaggio con cui furono scritti, fecero storia. Anche Shakespeare ebbe il suo momento "eufuista", soprattutto in Pene d'amor perdute, esempio vistoso di bella scrittura tutta eleganze, ornamenti, contrappunti e squisitezze linguistiche.
    Euphues, il suo sequel e altri romanzi, furono, storicamente parlando, i primi romanzi inglesi, la prima prosa d'arte della letteratura inglese. Enorme l'importanza storica, nessunissima, oggi, l'importanza artistica.
    Lyly fu anche drammaturgo. In prosa però, non in versi. E un dramma suo molto celebre è Endimone o l'uomo della luna. Celebre perché? Perché è poesia? No. Perché ebbe successo alla sua epoca? No. Celebre forse perché unico nel suo genere, diverso da tutti gli altri, incomprensibile a chiunque, oggi. Il sospetto è che, proprio questo suo essere un mattone lo abbia reso celebre. Celebre non alla sua epoca, ma in epoche successive, quando l'amore per la filologia rendeva ciechi i critici e gli storici della letteratura.
    Può darsi che all'epoca in cui fu scritto potesse interessare qualcuno (sicuramente non le platee, forse il pubblico colto...): certo, oggi, perso ogni riferimento con l'attualità cortigianesca, è assolutamente un peso morto e la sua più vistosa caratteristica è l'inutilità.
    Inutilità: cioè non arricchisce la letteratura inglese, non dà alcun piacere alla lettura, non fa vivere alcun momento storico, non dà emozioni poetiche...

    Titolo e impianto narrativo denunciano, denuncerebbero, un dramma di ispirazione classica. Quello d'Endimione è uno degli antichi miti classici, simile a quello di Adone e Venere.
    Un mito raccontato in tante varianti diverse. Endimione in sostanza è un giovane e bellissimo pastore, un po' patatone come lo era Adone, come Adone amato da una dea. Per Adone era Venere, per Endimione è Selene, la Luna. Il mito ci racconta che Endimione dormì per un numero sterminato d'anni, per conservarsi giovane e bello in alcune versioni, invecchiando e perdendo nel sonno la sua giovinezza in altre.
    Il mito è stato celebrato, nei secoli e nei millenni, da poeti, da musicisti, da pittori. Nel campo della letteratura da Ovidio sino a Keats, il giovane Keats, che scrisse un poemetto di migliaia di versi, tremila e rotti.
    Lyly racconta la storia d'Endimione, nel suo dramma, appesantendola, complicandola, rendendola incomprensibile. Endimione è innamorato della Luna, in Lyly, ma si era prima legato con una promessa a Tellus, la Terra, e questa non ha nessuna voglia di cedere il proprio innamorato a chicchessia, nemmeno a una divinità superiore qual è la Luna, in Lyly chiamata Cinzia.
    Tellus si vendica, del tradimento d'Endimione, e tramite una fattucchiera-strega, Dypse, lo fa addormentare per sempre...
    Passano quarant'anni e Cinzia vuole andare in fondo alla questione. Fa imprigionare Tellus (Carsite, il suo carceriere, se ne innamora...) spedisce Eumenide, l'amico di Endimione, a cercare, in giro per il mondo, il rimedio per risvegliare Endimione. E infine va lei stessa in cerca del famoso addormentato.
    Eccolo: è qui che dorme, è invecchiato, è bianco di capelli e fiacco nelle membra, flaccido e segnato dal tempo.
    Secondo il vaticinio d'una fontana sacra "quando colei, la cui forma fra tutte è perfetta e impossibile a misurarsi - sempre una eppure mai uguale, sempre mutevole, eppure mai incostante - verrà a baciare Endimione il dormiente, allora egli si leverà..." (III, 4).
    Il vaticinio - ricevuto da Eumenide, l'amico di Endimione - appare misterioso, ma a ben guardare è chiaro. È Cinzia, la Luna, che dovrà baciare Endimione, per farlo risvegliare, la Luna, "sempre una e mai uguale, sempre mutevole eppure mai incostante".
    Cinzia lo bacia e Endimione si risveglia. Poi inizia una sorta di processo, giudice è Luna-Cinzia, sovrana assoluta, per giudicare e punire Tellus, la mandante del delitto di aver addormentato Endimione e Dypse, la strega-fattucchiera, esecutrice materiale, mediante incantesimi, dell'addormentamento. Con un controinterrogatorio rivolto anche a Endimione il quale può infine rivelare il suo amore a Cinzia-Luna, amore che non osa chiamare amore, chiama rispetto, per riguardo verso la maestà di Cinzia: "ma ardire tanto da chiamar ciò amore non ho mai osato... e se qualcuno mi esorterà a dire ad alta voce ciò che vado bisbigliando, lo chiamerò rispetto". Al che risponde Cinzia, la sovrana, l'inarrivabile dea: "Endimione, questo nobile tuo rispetto sarà chiamato amore, e per ricompensa avrai il mio favore" (V, 3).
    Il favore della regina, la parola amore, come un deus ex machina risolve tutti i nodi dell'intricata trama: Endimione ritorna al suo originario aspetto giovane... "Le parole vostre hanno rinnovellato la mia giovinezza: mi par di sentire le membra rinsaldarsi e i capelli marcenti cadere..." (V, 3).
    Ma c'è di più: "Come, giovane un'altra volta? - dice Cinzia - ...allora sarebbe crudeltà punire Tellus" (V, 3).
    E lo strano dramma dai significati tutti esoterici finisce come tutte le allegre e semplici commedie: tutti sposi tra loro, anche Tellus con l'altro suo innamorato, anche la strega-fattucchiera col proprio ex, anche la serva della fattucchiera con sir Tophas, un personaggio comico che compare nel corso dei cinque atti più volte a far ridere la platea con le sue smargiassate da miles gloriosus, progenitore, si dice, del futuro Falstaff.

    Questo il racconto, semplificato, alleggerito di molti particolari, di molti dettagli, che paiono appunto del tutto esoterici, comprensibili solo a lettori "iniziati". È un dramma "a chiave", ci dicono i manuali di storia della letteratura. Significa che per comprenderlo devi conoscere la chiave di lettura, la convenzione, il meta-significato, le simbologie, le metafore e allegorie che ti consentono, appunto, di leggerne i significati nascosti tra le righe, sottintesi.
    Cinzia-Luna sarebbe la regina Elisabetta. Tellus sarebbe Maria Stuarda. Endimione il conte di Leicester, cioè il "favorito" della potente e inarrivabile "regina vergine". Eccetera. Persino la fattucchiera ha il suo corrispettivo tra i cortigiani dell'epoca.
    Letto in questa chiave non è che il dramma sia più comprensibile. Si giustifica però la sua incomprensibilità. Si giustificano certe dilungaggini su particolari per noi misteriosi, per esempio quando Endimione racconta un suo sogno e indulge a descrivere "fuchi o scarafaggi che strisciano fin sotto le ali di un'aquila reale e che, una volta portati nel suo nido, cercavano di succhiare a quella vena che, se aperta, avrebbe causato la morte dell'aquila..." (V, 1). L'aquila reale, si può pensare, è ancora Elisabetta e gli scarafaggi che strisciano sotto le sue ali è ragionevole presumere siano i piccoli cortigiani malevoli...
    Questa decodifica dei sottintesi, tuttavia, nulla aggiunge alla lettura del dramma che rimane noioso, per nulla interessante, e che infine può essere compiutamente descritto come una storia - oggi del tutto priva di interesse - di beghe e intrighi cortigiani ammantati di una veste mitologica.

    Forse Endimione aveva un intento politico, di critica politica, non è chiaro se a favore o contro Elisabetta. Però erano momenti in cui le critiche a un sovrano potevano anche costare la testa, quindi è più verisimile pensare che il commento politico sottinteso al dramma fosse favorevole alla politica perseguita da Elisabetta nella difficile crisi dei rapporti fra le famiglie Tudor, cui lei apparteneva, e la famiglia Stuart, cui apparteneva la sua rivale Maria.
    Il dramma è del febbraio del 1588 e fu rappresentato a corte, certamente presente la regina. Maria Stuarda era stata giustiziata esattamente un anno prima, nel febbraio 1587. Giustiziata, non perdonata, com'è invece perdonata Tellus nel dramma, da parte di Cinzia.
    Cosa avrà mai voluto significare Lyly con questa sua costruzione faticosa, fuori del tempo, priva di qualunque ambientazione, senza un chiaro distinguo tra personaggi positivi e personaggi negativi, con una storia triangolare in cui Tellus ama Endimione e Endimione ama Cinzia e dove il sapere che Tellus è Maria, e Cinzia è Elisabetta, non ci chiarisce affatto alcun significato?

    È un dramma scomodo, questo Endimione, e i manuali di storia letteraria generalmente, proprio perché scomodo, sorvolano su di esso, lo definiscono di ispirazione mitologica e vanno oltre. Oggi, in effetti, è un dramma privo di qualunque interesse letterario e men che meno poetico. Se ne può fare soltanto una lettura storica: significa tener presente che c'era anche questo, sulle scene del teatro inglese, proprio nel momento in cui compariva Shakespeare. Se il dramma fu rappresentato solo a corte, certamente Shakespeare non ebbe modo di assistervi e delle successive fortune del dramma non si sa nulla, se cioè sia riapparso su scena o no. Ma il testo fu pubblicato nel 1591 ed è difficile credere che Shakespeare possa non averlo letto. Era un testo di Lyly, autore di Euphues e comunque personalità eminente dell'epoca.
    Possiamo dunque credere che nella cultura letteraria di Shakespeare anche questo Endimione di Lyly fu presente. Non è un dato di grande rilievo, ma è un dato. Con una certa malevolenza possiamo fare nostra l'allegoria testé letta, quella del sogno di Endimione, con gli scarafaggi che strisciano fin sotto le ali dell'aquila reale: Endimione è dell'87, l'aquila reale prese il volo nell'89, con il Tito Andronico...

    Sestri Levante, 2/10/04



    Vedi anche queste discussioni:

    Endimione, mitologia e letteratura
    Endimione (Endymion) - John Keats

    Edited by °Yelena - 24/8/2009, 11:12
     
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