- Group
- Amministratori
- Posts
- 5,531
- Status
|
|
Questo romanzo di Elif Shafak racconta la storia di Jahan, un giovane indiano (forse) che si trova con il suo (forse) elefante bianco alla corte del sultano Suleiman il magnifico, di suo figlio e di suo nipote. Oltre a occuparsi dell'elefante e interagire con gli altri domatori, diventa ben presto apprendista del grande architetto Sinan, e insieme ad altri 3 giovani si occupa della costruzione di grandi moschee ed edifici pubblici. Qualcuno però, molto lentamente, trama contro di loro. Inoltre Jahan non è chi dice di essere, ma anche ciascuno degli altri apprendisti nasconde un segreto, e pur venerando lo stesso maestro, la competizione aumenta. Detta così sembrerebbe un bel thriller storico, gli ingredienti ci sono tutti. Solo che si sgonfiano come un palloncino, senza arrivare mai a un climax né a un vero scioglimento: la resa dei conti finale mi è parsa un po' arrangiata. L'ambientazione è prepotente, intrigante, pervasiva. Istanbul e i suoi palazzi e le sue vie sono ovunque, vivono davanti agli occhi. Al contrario molti dei personaggi e delle situazioni mi sono sembrati poco approfonditi, molto superficiali e poco incastrati tra loro. In alcuni tratti addirittura ho avuto la sensazione di leggere tanti racconti a se stanti, anche un po' ripetitivi sulle costruzioni di belle moschee e incidenti con poco pathos. Insomma, come sentire la ferita di un tradimento se nessuno dei probabili traditori ti è entrato nel cuore? Inoltre passano 50,60,70 anni ma tutto sembra immobile nelle relazioni tra le persone: a parte i sultani e i visir, non muore mai nessuno, tutti vivono all'infinito, nessuno avanza di carriera, o se ne va. Le relazioni rimangono immutate nei decenni al punto che si fatica a capire che Jahan non è più un ragazzino ma un uomo adulto e poi senescente. La stessa vicenda drammatica iniziale, che dà il la a un lungo flashback, quando arriva al punto... Viene sorpassata nell'arco di due righe, un accenno e si va oltre. Alcuni degli eventi storici sono stati forzati per incastrarsi con la trama. Ma perché? Non si sente la necessità, l'urgenza. Insomma se la storia dell'osservatorio non ci fosse stata, cosa sarebbe cambiato? Cosa aggiunge? Appunto la sensazione di una serie di racconti giustapposti. Un'altra cosa che non mi entra in testa, sono gli zingari innamorati di Jahan che continuano a salvarlo e ritenerlo fratello, sempre presenti (sempre Bahalan poi) nei momenti più drammatici, non si capisce perché si siano affezionati così tanto al mahout né perché appaiano sempre nei momenti più drammatici tipo Deus ex machina. Cioè poi nella postfazione si capisce ("volevo un romanzo con gli zingari, l'architettura, l'elefante") ma la loro presenza non è così bel intessuta nella trama del romanzo. Il risultato è una storia allentata, lasca
|
|