detto anche l'impanicato
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Titolo: Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta
Autore: David Lipsky
Anno: 2010
Editore: Minimum fax
Pagine: 442
Descrizione: David Foster Wallace (1962-2008) è stato una delle figure più importanti della letteratura americana degli ultimi trent'anni. Con libri come "Infinite Jest", "La ragazza dai capelli strani", "Una cosa divertente che non farò mai più" ha saputo rivoluzionare la narrativa e la saggistica contemporanee, guadagnandosi la stima della critica e l'amore dei lettori. All'indomani dell'uscita americana di "Infinite Jest", inviato dalla rivista Rolling Stone a scrivere un lungo articolo su Wallace, il giornalista David Lipsky trascorse cinque giorni ininterrotti al suo fianco, viaggiando con lui per centinaia di chilometri, assistendo ai suoi reading, alle lezioni del suo corso di scrittura, ma soprattutto impegnandolo in una conversazione personale e profonda sulla letteratura, la politica, il cinema, la musica, e anche gli aspetti più privati della sua vita, compresi il rapporto con le droghe e la battaglia contro la depressione. Questa è la fedele trascrizione del materiale registrato all'epoca: il ritratto in presa diretta di un indimenticato maestro della letteratura.
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Senza nulla togliere al sicuramente competente Lipsky, alla fine di questa lettura non posso evitare di stare qui a domandarmi come sarebbe stato questo libro se a passare i cinque giorni con DFW ci fosse stata, chessò, la (mitica) Fernanda Pivano.
Il libro ha degli sprazzi molto interessanti, soprattutto quando Lipsky riesce a scalfire lo scudo di DFW e ci permette di intravedere qualche sprazzo del modo in cui lui interpreta il mondo. Quanto la sua timidezza lo ha spronato ad analizzare i meandri della propria personalità instillandogli la capacità di scavare a fondo nelle storie per restituire nelle opere una limpida sensazione di verosimiglianza. E quanto tutto questo lavoro gli sia stato congeniale al suo obiettivo di dare una spinta all'avanguardismo letterario.
Ma è una piccola parte. Il resto dell'intervista, come nel peggior tipo di sensazionalismo scandalistico, risulta essere tutto un "E quindi dalla redazione mi hanno chiesto se facevi uso di eroina" / "Ma quindi ti drogavi?" / "Ma perché allora gira questa voce sulla droga?" / "E quando sei stato alcolizzato?" / "E perché volevi tentare il suicidio?" / "E perché eri depresso?" / "Ma se nel tuo libro parli di dipendenza mi sembra difficile credere che tu non fossi dipendente da qualsivoglia tipo di sostanza" / ecc.
Nel senso: Hai davanti uno dei più grandi autori americani, una mente geniale, e gli autori nominati nell'intervista, a parte sei o sette contemporanei, sono (vado a memoria) Barth, Updike, Nabokov e un paio di volte Barthelme e Tolstoj? (Se non vogliamo contare un aneddoto irrilevante su Faulkner, e no, non vogliamo contarlo).
Tutto qui? Nessuna domanda sulla letteratura? Niente o soltanto piccoli accenni alla sua visione politica o a come legge la società o che ne so riguardo la religione?
Ah però ogni venti pagine tornano le domande sull'alcolismo, la droga, la depressione, questo tentativo disperato di costruire un autore maledetto e niente sulla cultura o sull'arte. Boh, certe volte la superficialità altrui mi lascia senza parole.
Giuro che sembra di leggere un saggio tragicomico di DFW su un certo tipo di giornalismo che nella disperata ricerca del titolone perde la capacità di mettere a fuoco la notizia.
Cioè ok, quando si cazzeggia va bene e siamo sempre tutti felici di divertirci e cazzeggiare, però che cazzo, hai l'autore del momento davanti a te, probabilmente una delle poche menti geniali che ti capiterà di incontrare in tutta la tua vita e che fai?
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