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Titolo: Il pesce che è in noi Autore:Neil Shubin Anno: 2008 Editore: Rizzoli Pagine: 261 Descrizione: Che nella complicata architettura della nostra mano possa celarsi traccia della pinna di un pesce da tempo non è più considerata un'eresia, ma una conseguenza possibile della storia evolutiva condivisa dai vertebrati. Neil Shubin, paleontologo marino prestato all'anatomia umana, ci racconta l'antefatto della sua entusiasmante avventura e cioè l'emozione provata davanti al tavolo settorio della Facoltà di medicina, all'Università di Chicago, nell'atto di procedere alla dissezione della mano, affascinato da quella che definisce la quintessenza dell'umanità. In quel momento passa nella sua mente, in rapida sequenza, la storia dell'anatomia comparata e dei numerosi tentativi di trovare relazioni fra complessità e umanità proprio nella mano (un esempio per tutti: Charles Bell, The hand, its mechanism and vital environments as evincing design, 1833), nella quale il progetto strutturale ricorrente nei fossili, considerato di origine divina, raggiunge il suo apice. Il colpo di fortuna (preceduto, peraltro, da ritrovamenti fossili importanti e che già gli avevano fatto pensare a pesci con pinne fornite di dita in grado di muoversi anche su substrati solidi) arriva nel 2004, durante una spedizione nella tundra artica. Shubin trova, in un grande pesce fossile di circa 375 milioni di anni fa, un ossicino incredibilmente somigliante all'osso del polso: "Proprio come indicava la teoria di Darwin: nel posto giusto al momento giusto avevamo scoperto gli intermedi fra due specie di animali diverse". Era la pinna anteriore del Tiktaalik (in lingua inuit, grosso pesce di acqua dolce), composta, innovazione anatomica senza precedenti, da spalla, gomito e polso fra di loro articolati. Una pinna, cioè, che dava al pesce non solo la possibilità di fare flessioni, ma anche di "deambulare" nei bassi fondali tipici del suo habitat. La scoperta, pubblicata sulla rivista "Nature"(2006), fa balzare Shubin alla ribalta della notorietà mediatica. Ma il suo percorso di biologo evoluzionista non si arresta di fronte alle somiglianze morfologiche. Servono conferme e riscontri che saranno ottenuti applicando le tecniche della genetica molecolare alla biologia dello sviluppo, fino alla dimostrazione che gli stessi geni controllano sia lo sviluppo delle pinne sia quello degli arti. Nella seconda parte del libro, l'autore sottolinea ancor più come la biologia dello sviluppo sia fondamentale per comprendere l'evoluzione all'opera nel modellamento/rimodellamento delle varie componenti di un organismo e degli organismi nel loro insieme. Il saggio si conclude con una serie di riflessioni sulle ricadute dell'evoluzione sui progressi della medicina e sulle tecnologie più avanzate. Nonostante alcuni limiti, come l'iconografia di qualità mediocre e la traduzione costellata di frequenti e fastidiose inesattezze, la lettura di questo libro stimola e diverte ricordandoci, proprio nell'anno delle celebrazioni darwiniane, il profondo legame che unisce la nostra umanità alle altre forme di vita. E chiudo con il commento al libro del "Financial Times": "Se volete capire l'evoluzione (
) leggete questo ottimo saggio. E se siete creazionisti leggetelo comunque e poi pentitevi". Maria Fosca Franzoni
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