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Titolo: Realismo capitalista Autore: Mark Fisher Anno: 2018 Editore: Nero Pagine: 154 Descrizione: Un celebre adagio (di volta in volta attribuito a Slavoj Žižek o a Fredric Jameson) recita che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Lo slogan There Is No Alternative tanto caro a Margaret Thatcher è stato infine adottato anche dalla sinistra liberale, e nemmeno la crisi del 2008 è riuscita a scalfire la generalizzata convinzione che, fuori dal capitalismo, sia impossibile ipotizzare strade altre. Ma qual è l’effetto di questo «realismo capitalista» sul nostro immaginario? E qual è il suo ruolo nel diffuso sentimento di rassegnazione e infelicità che permea le nostre vite?
In questo breve ma fondamentale testo che ha avuto un impatto enorme sugli ambienti culturali in primo luogo anglofoni, il critico e teorico Mark Fisher ragiona su come il realismo capitalista abbia occupato ogni area della nostra esperienza quotidiana, e si interroga su come sia possibile combatterlo. E lo fa attraverso esempi presi non solo dalla politica, ma anche dai film e dalla narrativa di fantascienza, dalla musica pop e dalla televisione.
Con Realismo capitalista, Fisher ha firmato una delle più penetranti, illuminanti e dolorose analisi del mondo in cui viviamo. Ma Realismo capitalista è anche un testo che apre all’idea di possibilità, e che ribadisce che un’alternativa c’è. Leggerlo, per dirla con lo scrittore e poeta Alex Niven, è come «tornare a respirare dopo tanto, troppo tempo trascorso sott’acqua».
Edited by taksya - 6/5/2020, 19:41
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Ok praticamente un libro-culto, chiunque lo abbia letto di più giovane di me è stato praticamente illuminato sulla Via di Damasco. Io non mi ci metto in mezzo perché avevo già interiorizzato molto concetti da letture che spesso lo citavano. Fisher è stato un ottimo pensatore ed esperto musicale e cinematografico (le citazioni e i parallelismi in tal senso abbondano), ma in generale questo saggio agile e fruibile dipinge con molta chiarezza lo scenario deprimente dei nostri tempi, in particolare questo senso profondo di non-futuro neopunk ma senza caciara e necessità di ribellione ed espressione, di disaffezione, di rassegnazione totale alle proprie catene, al deserto intorno a noi, sociale, affettivo, empatico, preconizzato e al contempo imposto da Margaret Thatcher. La sensazione è quella di essere all'interno del gioco di noi stessi, uno scenario dickiano che ricorda The Truman Show: l'assuefazione a un mondo fittizio che ci viene presentato come l'unico possibile. Fisher rivela e descrive chiaramente il meccanismo perverso del gioco. Eppure lascia intravedere un barlume di speranza, nonostante tutti quelli che lo hanno letto e che me ne hanno parlato lo abbiano descritto come deprimente. Forse sono più depressa io, cosa che non mi consola affatto vista la fine che ha deciso di fare l'autore...
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detto anche l'impanicato
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Voglio leggerlo, lo cerco.
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2 replies since 1/5/2020, 22:38 31 views
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