Il centauro

~ John Updike

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    detto anche l'impanicato

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    Titolo: Il centauro
    Autore: John Updike
    Anno: 1963
    Editore: Einaudi (2014)
    Pagine: 336
    Descrizione:

    George Caldwell è un insegnante che non sopporta più la scuola e i suoi studenti, suo figlio Peter non ha amici, ama Vermeer e soffre di psoriasi. Entrambi sognano di andarsene via dalla cittadina della Pennsylvania in cui vivono. Il sacrificio di uno salverà l’altro, come Chirone con Prometeo? Con Il centauro Updike dimostrò che con la scrittura sapeva fare tutto. Un’onnipotenza virtuosistica che riesce ancora oggi a incantare il lettore. Basta prendere l’incipit del romanzo o la lunga scena della lezione di astronomia per capire come il minimo dettaglio realistico riesca a caricarsi di significati che lo trascendono, ogni infelicità individuale si proietti nel pulsare di una ferita cosmica. Con i suoi piani narrativi cangianti e l’alternanza (o la mescolanza) tra personaggi realistici e mitologici, è il romanzo più ardito di Updike, forse il più affascinante.

    ***

    C’è un qualcosa che colloca Il centauro al centro della poetica di Updike, e ne fa la chiave di volta per comprendere anche altre sue opere agli antipodi per stile, struttura, concezione narrativa. Come ci ricorda Adam Begley nella sua notevole biografia, durante il discorso di accettazione del National Book Award Updike avrebbe sottolineato come «sia il libro che il suo eroe sono centauri», creature di invenzione nelle quali il terreno e il celeste, l’ordine e il caos, la bontà naturale e l’insopportabile pedanteria, ma anche il mitico e l’ordinario, il reale e il surreale, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, coesistono e si alternano sul proscenio. Un’ambivalenza e una coesistenza di opposti che ha senza dubbio nel personaggio di George Caldwell la propria compiuta incarnazione: un uomo buono che, citando ancora le parole di Updike, è al contempo «esilarante e lagnoso: una sorta di chiassoso altruista; una persona che combina il bene e la sua assenza in un modo interessante, e spesso comico». Un centauro, appunto.

    Dalla prefazione di Luca Briasco

     
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    "George Caldwell è un insegnante che non sopporta più la scuola e i suoi studenti, suo figlio Peter non ha amici"

    La descrizione del libro che ho preso da non so dove, dal sito di qualcuno che cerca di vendere, riesce nell'ardua impresa di esordire con ben due cazzate!

    Metto sotto spoiler solo per distinguerlo dal commento, ma non credo ci sia nulla da tener segreto qui sotto:
    Credo che la mal sopportazione espressa da Caldwell sia non tanto verso la scuola e i suoi studenti, d'altronde il suo lavoro è tutto ciò che ha, l'unico legame concreto con la realtà di una mente devastata dalle paranoie e dai rimpianti. Secondo "lui/lei/loro", ammesso che l'abbiano letto, uno che non sopporta più l'insegnamento passa a scuola giornate intere, fino a dopo l'orario di lavoro, vende i biglietti delle partite di pallacanestro, allena la squadra di nuoto, consiglia ragazzini come fossero suoi figli (nel classico transfer di chi non capisce il proprio figlio e cerca di fare da mentore a un ragazzino più affine). Suo figlio Peter, poi, secondo "lui/lei/loro" non ha amici, cosa palesemente falsa, anzi ha persino una specie di fidanzatina...


    Romanzo che a tratti ho apprezzato, prendendolo in quanto tale, senza far caso ai riferimenti "meta", trovando qua e là momenti di pienezza espressiva, precisione estrema, la solita eloquenza di Updike che non so più come definire oppure non ho mai saputo definire, che a volte ti snerva e a volte ti stringe il cuore, raramente ti fa ridere (se questo era il suo intento quando definisce esilarante il suo personaggio). La lezione di astronomia effettivamente è uno spettacolo, un momento altissimo, regge da sola la pena di leggere il libro. Il rapporto tra padre e figlio è realistico, anche se da inserire nell'anima bizzarra di Caldwell, e reso molto bene, anche quello un motivo per addentrarsi in questa lettura. Il finale deludente nella sua estrema rapidità e nel suo scarso collegamento "fisico" con il testo, nel senso che cade dal nulla, senza un momento preparatorio, non basta la preparazione intesa come quella di tutta la storia, arriva una scure, il finale, e taglia di netto tutto, risultando senza dubbio mal riuscito.

    E qui finirebbe il mio commento se io non fossi così stolto e ignorante. Infatti dopo la fine appare l'indice mitologico, con decine e decine di indicazioni che mi dimostrano quanto io abbia colto al massimo il 5% di tutti i riferimenti alla mitologia greca presenti nel libro.
    Sicuramente un testo che potrebbe essere meglio apprezzato da qualcuno con una conoscenza più approfondita della materia in questione.
     
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