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Ma sinceramente proprio no, non si capisce bene dove questo libro voglia andare a parare. La scrittura è asciutta, poco piacevole perché quasi meccanica, artefatta nei dialoghi. Non so se questo possa riflettere un problema di traduzione, ma mi sembra che comunque le frasi siano brevi e minime, e personalmente ne dubito. Con i giapponesi parto sempre poco convinta perché la portata rivoluzionaria dei contenuti delle loro produzioni è pari a zero anche quando l'opera viene descritta come anticonformista. In questo caso le premesse erano buone, ma vengono toccati molti temi interessanti che, purtroppo, rimangono poco sviluppati, e si termina la lettura con un grosso senso di incompiutezza. La protagonista è affetta da una qualche forma di autismo (?) che però ha dei tratti di sociopatia importanti (può risultare un pericolo per la vita altrui, e non se ne accorge nemmeno). La "stranezza" della ragazza viene vista dall'interno, il che è interessante e ci fa percepire in che enorme misura gli altri possano rappresentare un'ingerenza rispetto ai propositi della propria vita, come i commenti e le pressioni sociali dominanti limitino la libertà individuale e ci portino a dover sperimentare delle soluzioni di facciata per bloccare questo continuo flusso di intromissioni moleste sotto forma di domande spesso considerate innocue e di rito. Il fatto che venga messo in discussione il considerare la vita come un'autostrada in cui bisogna fermarsi a determinati autogrill va bene, la cosa curiosa è che la realizzazione personale di Keiko avviene in un luogo di estrema conformità a regole precise (altre regole, ma comunque regole), in un mondo in cui comunque il non conforme è tagliato fuori, sebbene questa conformità rifletta altri standard, comunque non troppo dissimili a quelli esterni (efficienza lavorativa, giovinezza, assenza di tempi per se stessi, etc). Se questo rifugio in un castello di cristallo, in cui tutto è immutabile e il tempo non esiste, è molto coerente con le capacità e le aspirazioni della protagonista, e anche molto rassicurante nella sua routine, ciò che comunque convince poco è che l'incontro con chi davvero mette a repentaglio la ripetitività della vita di Keiko, un altro outcast, continua a non sviluppare compiutamente i temi delle trappole sociali in cui i due si trovano invischiati. Lui è uno che non si rende conto di come queste trappole agiscano in maniera differenziale su entrambi i generi, ma sono pur sempre trappoloni (il tema della disparità di genere sembra essere uno dei fulcri, ma viene solo sfiorato), le prese di coscienza vengono spesso abortite dal fatto che a lei non freghi niente di niente, e in questa specie di impasse paradossale il romanzo si incastra. Perché è vero che rappresenta bene l'interiorità di Keiko (assolutamente assente, quindi il niente), ma è pure vero che costruire un romanzo intorno al niente può risultare in uno svuotamento di contenuti (e beh, se rappresenti il niente...). È come se si caricasse di un afflato anticonformista destinato a una specie di resa, nonostante Keiko rivendichi sul finale la sua decisione di lavorare a vita nel konbini, ma non sappiamo come va a finire, nasce persino il sospetto che possa essere allontanata dal negozio perché presa da un attacco di mania... In pratica si colloca fra il viaggio nell'interiorità di una persona "ai margini" e la denuncia sociale senza essere bene nessuno dei due.
Insomma, non condivido come al solito come possa essere balzato in cima alle vendite e il grande entusiasmo che ha accompagnato la sua uscita.
Edited by Lyl3_Z - 22/9/2018, 13:57
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