Scrittura cuneiforme

~ Kader Abdolah

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  1. N. Zyme
     
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    Titolo: Scrittura cuneiforme
    Autore: Kader Abdolah
    Anno: 2003
    Editore: Iperborea
    Pagine: 334
    Descrizione: Ismail, giunto nei Paesi Bassi come rifugiato politico dal lontano Iran, riceve un giorno un misterioso pacchetto. La busta contiene il quaderno a cui suo padre, umile annodatore di tappeti, ha affidato i propri pensieri scrivendoli in una lingua misteriosa: le lettere cuneiformi di un'antica iscrizione. Inizia così un viaggio a ritroso nel tempo, lungo le strade di Teheran, percorse dal terrore scatenato dallo scià, e poi dal regime degli ayatollah.


    Mi sono avvicinata a questo libro con lo spirito sbagliato: cercavo le peripezie di un attivista politico catapultato nelle avventure della traduzione del taccuino del padre, e immaginavo un viaggio a ritroso del protagonista nella terra natia come fuggitivo braccato, con sottotrame politiche e intrecci di spie e amici traditori e traditi, con tanto di spiegoni storici allegati. Non si tratta di questo.
    La prosa di Abdolah (almeno nella traduzione italiana) è semplice e lineare, non so se influenzata dal fatto che l'autore scrive in Olandese, che è lingua acquisita. La prima parte è quasi fiabesca, immersa totalmente nella storia della gioventù di Aga Akbar, padre sordomuto di Ismail, nello scenario di un villaggio alle pendici del Monte Zafferano (non ho mica ancora capito quale sia il suo vero nome e dove si trovi di preciso...). Dopo la nascita di quello che per un una buona fetta della narrazione sarà il narratore, il figlio Ismail che cerca di decifrare gli strani appunti, la situazione cambia, lo scenario fiabesco diventa via via più reale con l'approssimarsi della rivoluzione iraniana e il crescere del malcontento e dei movimenti di insurrezione contro lo Scià. Ismail si dedica appieno all'attività politica anche dopo la sconfitta dei movimenti di sinistra con l'instaurazione del regime teocratico, ed è la parte che più ho preferito. Tuttavia la colonna portante del romanzo rimane il rapporto padre-figlio, la dedizione di Ismail nei confronti del genitore di cui diventa di fatto un'appendice, aprendolo alle meraviglie del mondo fuori dalla realtà semplice in cui Akbar è costretto a causa del suo handicap. Cercando di iniziarlo alla complessità in tutte le sue declinazioni, anche le peggiori. Non sempre Akbar capisce, ma ci prova: fra i due c'è un'intesa fortissima, tanto che nella curiosa lingua dei segni inventata dalla necessità di comunicare, il nome di Ismail è "Mio" per Aga Akbar. Intesa che soffre, ma non svanisce, quando il cordone ombelicale che li unisce è tagliato dalle inevitabili conseguenze dell'impegno politico del figlio.

    Non un libro imperdibile, scorre un po' troppo velocemente per i miei gusti. Comunque abbastanza gradevole.

    Edited by taksya - 6/5/2020, 11:52
     
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