Canone inverso

~ Paolo Maurensig

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    Lascio che le cose mi portino altrove

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    canone inverso
    Titolo:Canone inverso
    Autore:Paolo Maurensig
    Anno: 1996
    Editore: Arnoldo Mondadori Editore
    Pagine: 172
    IBS
    Descrizione:
    Il "canone inverso" è nel linguaggio tecnico musicale, una forma di fuga molto più complessa, perché non è basata sulla ripetizione dello stesso tema. A Vienna per la stagione concertistica, il narratore della storia incontra un suonatore ambulante in una taverna di Grinzing. Un po' per scherzo, un po' per scherno, gli chiede un pezzo difficilissimo: una ciaccona di Bach. L'ambulante la esegue alla perfezione, stende il cappello e riceve una ricca mancia dallo stupito ascoltatore. Il giorno dopo lo scrittore incontra di nuovo il singolare musicista che gli rivolge una domanda: ha mai raccontato una storia ambientata nel mondo della musica? Lui ne conosce una forte e misteriosa: una storia terribile. In seguito a quali disavventure un artista eccelso si è ridotto a trascinare per bettole e osterie un talento che avrebbe potuto aprirgli i palcoscenici dei teatri più celebri del mondo? Qual è la forza terribile che è entrata nella sua vita? Maurensig costruisce un'avventura in cui le sorprese, i trasalimenti, i colpi di scena non sono puri espedienti narrativi, ma simboli drammatici dello scontro tra le inquietudini, la delicatezza delle anime individuali e la ferocia della storia di questo secolo.


    « Provavo la netta sensazione che egli (Kuno Blau, n.d.r.) volesse servirsi di me. Eppure stavo al suo giuoco e, sordo a ogni richiamo della ragione, mi lasciavo coinvolgere sempre più. Senza che me ne avvedessi, ciò che aveva trovato il suo supremo compimento nella folgorazione iniziale, aveva già cominciato da tempo la sua corsa retrograda, il suo conto alla rovescia, o, se vogliamo usare un termine musicale: il suo canone inverso. »

    La recensione de L'Indice


    recensione di Moro, C., L'Indice 1996, n.11
    (recensione pubblicata per l'edizione del 1996)

    Che la musica non sia passione ormai decantata in pura forma ce lo suggerisce, prima che il romanzo di Maurensig, l'Apollo giovinetto che dalla sovraccoperta del libro si appresta a trarre accordi da un violino (o viola da braccio?); è il particolare di una tarda tela di Tiziano nota come "La punizione di Marsia", e solo i toni bruni, la tensione degli impasti rimandano alla scena efferata che qui non si vede: il satiro Marsia, appeso all'ingiù, viene scorticato vivo, colpevole di aver perduto una sfida musicale con il dio delle muse. Il pittore sostituisce la lira apollinea del mito greco con un più moderno strumento ad arco, rendendolo disponibile a simboleggiare quel legame tra musica e dolore, se non tra musica e crudeltà, che attraversa innumerevoli variazioni tematiche per approdare, un po' consumato dall'usura, al best seller di Maurensig. Quasi in omaggio allo sventurato Marsia, sublime flautista capovolto nel supplizio, anche qui domina l'inversione. Nei suoi sensi più palesi e più criptici: dà il titolo al romanzo, con il ricorso a un'espressione tecnica del contrappunto musicale che si scopre fin da subito chiave di lettura; si nasconde come 'en abŒme' - e snobisticamente al riparo dalle nozioni musicali della maggior parte dei lettori - nel moto ascendente dell'ultimo movimento della "Partita II" per violino solo di Bach, la celebre "Ciaccona", che un personaggio suona con virtuosistica perizia; si accampa nel punto di svolta della vicenda, al di là del quale ci s'approssima al disvelamento del mistero; stinge infine in un suo prevedibile succedaneo, il "doppio", che come sempre fa quadrare ogni cosa.
    In un'atmosfera composta da perdurante 'finis Austriae' (agonia di inizio secolo che non è mai stata più vispa di oggi, a giudicare dagli incassi), un violino racchiude un enigma che rimbalza e si dilata da uno all'altro dei tre narratori: un ricco amatore, uno scrittore melomane, un vecchio musicista girovago. All'ultimo, Jeno Varga, appartiene la storia: eccolo negli anni venti bambino di talento, erede del prezioso violino lasciatogli da un padre sconosciuto; eccolo adolescente nel Collegium Musicum, la scuola per violinisti più ambita d'Europa, un lager a due passi da Vienna - non immemore per qualche tratto di altri sadici convitti austroungarici alla "Giovane Törless" - dove "piccoli dèi della mediocrità" in veste di insegnanti mortificano a suon di tecnica lo spirito della musica; eccolo nel castello dell'unico amico, l'aristocratico Kuno Blau, luogo di agnizioni fatali, in attesa che parentele e schizofrenie vengano del tutto alla luce. Tra morti redivivi e vivi che usurpano l'identità dei morti, discussioni sull'immortalità e amicizia che s'incaina, alla musica tocca il ruolo pervasivo di "dolore estatico", impresso fin nella positura del violinista, che ricorda una "deposizione dalla Croce". Anche le metafore più tornite sono uditive, dalla terra che cadendo su una bara ne trae cupe risonanze da "cassa armonica", alla grande Storia che si annuncia con il "marziale clangore" della folla nazificata. Ci si chiede però se tanto dispiego di suoni valga a forare la soglia, pur impercettibile, che separa la liuteria dalla letteratura.
     
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    detto anche l'impanicato

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    Una lettura che mi ha perlopiù infastidito.
    L'inizio è piuttosto promettente, viene utilizzato un violino per narrare una storia nella storia nella storia, il che ha molto senso se pensiamo che un prezioso pezzo di liuteria come l'oggetto del racconto può attraversare i decenni di mano in mano, nel giro di un lustro può passare dall'essere seppellito nella polvere in cantina, a viaggiare nella stiva della nave di un contrabbandiere, ad essere primo violino nel concerto più importante nella storia della musica.
    Partendo da questo presupposto mi ero apparecchiato per una lettura entusiasmante attraverso i decenni, pronto a sentire la musica vibrare, pronto per rivoluzioni sinestetiche.
    Tutto ciò che invece mi sento di dire, non avendo voglia di perdere altro tempo dietro a questo testo, è che invece della bella narrazione che pregustavo ci si perde nell'intrigo da soap, nella filosofia spicciola, nel colpo di scena da thriller psicologico visto e rivisto e rivisto (e rivisto).
    Una delusione cocente, date le premesse, che mi ha soltanto rovinato la giornata.
     
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1 replies since 19/2/2014, 11:34   114 views
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