Memorie di una geisha

La prima cosa che mi ha infastidito è stata la prefazione, dove l'autore cerca di far passare la storia narrata come una storia vera, ottenuta con grandi sacrifici. Questo stride notevolmente con i ringraziamenti alla fine, visto che poi rivela come in realtà l'intera storia sia stata basata sui racconti della Iwasaki e su ricerche storiche.
Poteva risparmiarselo... il libro non ne avrebbe perso.

Un'altra cosa che mi ha lasciato perplessa (ma non so se la colpa è della traduzione) è l'assoluta mancanza dell'utilizzo dei nomi tradizionali delle varie figure citate.
L'autore (o il traduttore) cita vari oggetti, cibi, parole realitve a comportamenti tipicamente giapponese... e non una volta nomina il vero nome delle Geishe di Kyoto (che vengono definite Geiko - se non sbaglio) o quello delle apprendiste Geishe, le Maiko.
Sarà eccessivo, ma l'ho trovato come una sorta di mancanza di rispetto per le figure che dovevano essere al centro del racconto.

Irritante invece la costante affermazione riguardante l'erronea interpretazione che gli occidentali hanno delle Geishe (che non sono prostitute come pensa la maggior parte degli stranieri) e il continuo rimarcare il fatto che la loro vita è comunque costellata di clienti fissi (o occasionali), ma sempre scelti solo a causa del beneficio economico che potevano portare alla geisha e alla casa che le ospita (e che si prende buona parte dei loro guadagni come risarcimento delle spese fatte durante l'addestramento) e che mai è permesso loro di avere un amante (o un amore) solo per piacere personale.

Per finire... il finale!
Non c'è nulla di meno giapponese di un lieto fine.
Siamo d'accordo, non è un libro scritto da un giapponese, ma la cosa lascia comunque un senso di insoddisfazione.

Lo so... sono troppo fissata, ma adesso andrò a caccia del libro scritto da Mineko Iwasaki, tanto per scoprire il suo punto di vista sulla vita delle Geishe, certamente un filo più aderente alla realtà.