La maternità può attendere

~ Elena Rosci

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    Titolo: La maternità può attendere - perché si può essere donna senza essere madre
    Autore: Elena Rosci
    Anno: 2013
    Editore: Mondadori
    Pagine: 192
    Descrizione:"A vent'anni pensavo vagamente di volere due figli. Adesso penso che dovrei decidermi per averne almeno uno. Ma il tempo passa e non mi sembra mai il momento": in molte continuano a ripetere quel "non mi sembra il momento", un vero e proprio leit motiv nelle spiegazioni fornite dalle donne (una su cinque in Italia) che rinunciano a fare figli. Elena Rosci cerca di individuare non solo le cause più banalmente "pratiche", ma anche le ragioni profonde che spingono un numero così elevato di donne a rifiutare la maternità. Le motivazioni addotte spaziano da quelle di tipo sociale (la precarietà del lavoro, la mancanza di servizi per l'infanzia, l'esigenza di una maggiore mobilità) ad altre di tipo più individuale: l'aspirazione femminile a posizioni paritarie all'interno della coppia, il timore di un ruolo che è "per sempre". Spesso, poi, il freno è costituito anche dalla paura di non essere all'altezza di quel modello di mamma di stampo ottocentesco che ancora persiste nell'immaginario collettivo. Gli ostacoli di ordine pratico potrebbero di fatto essere aggirati con facilità da un sistema di welfare più sensibile, mentre l'aspetto psicologico appare più problematico. È accantonando finalmente lo stereotipo della madre tradizionale in favore di una visione più aperta che diventare madre potrà smettere di essere per molte un inquietante salto nel buio e rappresentare per tutte una scelta davvero libera.


    L'autrice è una psicoterapeuta che già in saggi precedenti ha analizzato il tema "maternità" e questa volta ha voluto affrontarlo dal punto di vista della sua negazione. L'ho trovato un saggio molto lucido nell'analisi sia delle motivazioni che uccidono il desiderio di avere figli, sia delle problematiche che spingono molte donne a vivere in un vero e proprio limbo in bilico fra la decisione di diventare o meno delle madri, procrastinando l'evento fino al momento in cui la biologia non sceglierà per loro.
    È un libro assolutamente privo di giudizi morali sia velati che palesi, che fa dell'autodeterminazione della persona una sua colonna portante, ragion per cui l'ho molto apprezzato e merita un mio personale plauso. Anzi, proprio nell'elemento del forte giudizio ricerca la causa del rifiuto di maternità di quelle donne che forse vorrebbero, ma scelgono di no.
    Una delle tesi che l'autrice espone è uno sfasamento fra il modello di madre che le donne, calate nell'odierna società, vorrebbero realmente vivere -una madre autonoma, non dipendente, che una rete sia di affetti sia di assistenza da parte dello Stato è in grado di supportare e soprattutto NON lasciare sola- e la "grande madre" radicata nell'immaginario collettivo italiano ancora retaggio di un'epoca passata, uno strascico proveniente dal fascismo e ancor prima, dall'800. Questa idea di madre oblativa, in grado di annullarsi e sacrificarsi per i propri figli ed il bene della famiglia, che non mette in discussione il proprio ben definito ruolo anche di amministratrice della casa, che rinuncia alle proprie aspirazioni e ai suoi desideri in nome della prole, è ormai anacronistica e decisamente superata, eppure il suo germe è ancora presente nell'idea della buona madre, un ideale a cui aspirare, la genitrice perfetta che tuttavia fa paura, spaventa e allontana in quanto veramente non più desiderabile, ora che ogni donna non ha più (per fortuna) una strada segnata. Purtroppo però anche il sistema scolastico e quello assistenziale, nonché le odierne politiche del lavoro, non sono in grado di venire incontro alle istanze di madri lavoratrici che, pur volendo, vorrebbero scrollarsi di dosso il vecchio retaggio.
    Secondo l'autrice, quando si parla di maternità quasi invariabilmente, secondo la sua esperienza di terapeuta, si parla di conflitti interiori, di difficoltà nel conciliare l'amore di sé con l'amore per l'altro, impresa resa ancora più ardua dalla presenza dell'ideale e costante giudizio dell'"opinione pubblica" sul tema (basti pensare a come viene spesso vista una donna che lascia molto tempo il figlio fuori casa), come se fosse normale che una donna debba trasformarsi, diventando madre, in una sorta di supereroina tuttofare e nessun errore fosse concesso. La tesi di fondo è che non esiste un modo "giusto" o "sbagliato" per essere mamme, e che ognuna ha il pieno diritto di inventarselo a seconda delle proprie necessità. Non esiste istinto materno e la concezione naturalistica della madre è ormai tramontata: è ora che si facciano i conti con queste realtà e si prenda in considerazione l'idea di cambiare il modo di concepire la cura dei figli in modo che chi decida di appocciarsi alla maternità non venga più lasciato solo o si senta gravato dal giudizio esterno.

    Due piccole critiche: 1) l'autrice ha confrontato i tassi di natalità fra donne straniere e donne italiane, ma non mi pare abbia fatto la stessa cosa per quelli dei paesi nordeuropei. Abbiamo un tasso di natalità che pareggia quello di mortalità ma non è esplicitato il contributo delle donne straniere;
    2) è vero che l'Italia rappresenta una realtà spesso antica e anacronistica, con gestioni PESSIME di patrimoni pubblici e servizi di assistenza, però (e non è campanilismo il mio!) al modello italiano si contrappone un "modello estero" presentato con un'esaltazione che spessissimo adombra dei grossi difetti. L'autrice fa bene ad affermare che avere figli in paesi come la Danimarca è molto più semplice, perché l'assistenza è tale che lo Stato riesca a dare una grossa mano alla famiglia poiché considera un nuovo nato un investimento per il futuro, encomiabile come visione, come encomiabili sono le scuole a tempo pieno fisso, gli asili nei posti di lavoro... tutti modi per permettere ai lavoratori di, appunto, lavorare meglio nonostante l'onere di crescere un figlio. Ora però, io sono una che se mette in discussione, mette in discussione TUTTO, quindi mi chiedo se questo strizzar fuori forza lavoro sia veramente necessario o se non sia il caso di giungere a un compromesso, ma qua si aprirebbe un discorso lunghissimo e non privo di dubbi (e un po' troppo ideale) su un sistema economico alternativo, quindi lasciamo perdere...
    L'idea però proposta dall'autrice per il "caso italiano" la trovo fattibile e molto buona.

    Edited by MagentaMist - 1/12/2013, 17:45
     
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