Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio

~ Michael Gazzaniga

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    Titolo: Chi comanda? Scienza, mente e libero arbitrio
    Autore: Michael Gazzaniga
    Anno: 2013
    Editore: Codice
    Pagine: 272
    Descrizione: Secondo un trend oggi dominante nelle neuroscienze gli esseri umani sarebbero macchine biologiche, soggette alle stesse leggi fisiche che governano il mondo. Questo approccio determinista ha implicazioni filosofiche e sociali importantissime: i neuroscienziati ci stanno forse dicendo che il libero arbitrio e la responsabilità personale sono solo illusioni? La questione non è così semplice, sostiene Gazzaniga: il cervello è sì una macchina di cui si conosce in buona parte il funzionamento, ma ciò non toglie che la persona sia libera, e soprattutto responsabile delle proprie azioni. La scienza, insomma, non distrugge concetti che la filosofia ha impiegato secoli a studiare e definire; la scienza dialoga con la filosofia e l'etica, per donare a quei concetti nuovi significati, nel coraggioso tentativo di dare un senso a ciò che siamo.


    Siamo così convinti di essere padroni di ogni nostra azione, di poterla decidere e attuare a piacimento, in altre parole di poter contare sul libero arbitrio, che ci sembrerebbe folle solo mettere in dubbio tutto questo. Non ci passerebbe mai per la testa di dubitare del fatto che ci sentiamo agenti coscienti con un senso unitario del sé, che agiscono con un fine personale. Questa visione però è in crisi. Colpa, o merito se preferite, delle continue scoperte delle neuroscienze, grazie a cui negli ultimi decenni abbiamo iniziato a capire come funziona il cervello e di riflesso abbiamo iniziato a diradare le nebbie che avvolgono l'emergere delle facoltà mentali, sulle quali poggia il nostri essere umani.
    Uno degli esponenti più eminenti di questa critica parziale al libero arbitrio è Michael Gazzaniga, professore di psicologia all'Università della California a Santa Barbara e pioniere delle Neuroscienze cognitive. Per argomentare la propria tesi, Gazzaniga passa in rassegna le conoscenze del cervello, e i suoi argomenti poggiano su studi ai quali spesso lui stesso ha partecipato. Il libro è anche un racconto delle piccole rivoluzioni che hanno scosso le neuroscienze, ottenute anche grazie allo studio di pazienti con lesioni cerebrali. Elemento importante questo, perché ha permesso di capire che il cervello è un insieme di moduli integrati fa loro, che lavorano in automatico e sono spazialmente localizzati, con buona pace delle ipotesi passate per cui le diverse funzioni cerebrali erano distribuite uniformemente in tutto l'organo. Ma se il cervello è composto da moduli automatici, come emerge la coscienza del sé? Tutto merito, secondo Gazzaniga (qui in parte avrei da ridire), di un modulo interprete, che sembra una caratteristica unica della nostra specie. Come spiega Gazzaniga, l"unità psicologica di cui facciamo esperienza emerge da un sistema specializzato, chiamato interprete, che dà spiegazioni a proposito delle nostre percezioni, dei nostri ricordi, delle nostre azioni e delle relazioni tra tutti questi. Ciò porta alla formazione di una narrazione personale, la storia che unisce i diversi aspetti della nostra esperienza cosciente in un insieme integrato: e l'ordine sorge dal caos". La coscienza sarebbe dunque una proprietà emergente. La nostra esperienza cosciente, afferma l'autore, si assembla al volo mentre il cervello risponde a segnali che cambiano di continuo e risponde rapidamente. Questa elaborazione a posteriori e la considerazione che si tratta di informazioni in entrata nel cervello di animali sociali quali noi siamo portano Gazzaniga ad affermare che la responsabilità è un contratto tra persone, una caratteristica della mente, non una proprietà del cervello. E mente e cervello non sono la stessa cosa.
    Gli esperimenti di Benjamin Libet, per esempio, hanno scoperto che in alcuni casi il cervello fa qualcosa prima che noi ce ne rendiamo conto. Ma tutto ciò non ci solleva dal libero arbitrio e dalle responsabilità che ne conseguono. Altri esperimenti hanno mostrato che in ognuno di noi c'è un'area della corteccia deputata all'autocontrollo. Inoltre, nei gruppi umani più diversi il sistema delle punizioni funziona, inibendo comportamenti contro le regole. Quindi per Gazzaniga dobbiamo essere considerati responsabili delle nostre azioni.
    C'è un corollario a tutto questo che riguarda il ruolo sempre più invadente delle neuroscienze nei tribunali. Gazzaniga mette in guardia dall'abuso in ambito forense di tecniche usate dagli scienziati, per esempio per visualizzare l'atttività cerebrale, perché, proprio come le particelle del mondo atomico e subatomico, anche il cervello ha un suo principio di indeterminazione. Almeno per ora.
     
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    lo sto leggendo da ieri
     
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    Ne sono deluso.

    Ovviamente il tema è affascinante, importante, fondamentale, ma non è neppure il primo libro che affronta la questione, quindi per non posso accettare certi pasticci. O l'autore parla in senso generale, privilegiando l'aspetto "filosofico", oppure se rimane in ambito più strettamente scientifico citando anche studi ed esperimenti deve farlo in modo critico, mentre invece spesso gli esperimenti sono citati in modo superficiale o, da ciò che scrive Gazzaniga, sono superficiali essi stessi e forzate le conclusioni. Mi riferisco in particolare a esperimenti svolti senza gruppi di controllo, o di cui quantomeno non vi è menzione nel saggio.
    Mi sono poi segnato due passaggi, fra i tanti che non mi hanno convinto:

    Verso la fine del saggio si cita un esperimento su bambini sotto i 5 anni di età, in alcuni casi anche bambini di 18 mesi, che avrebbero una innata capacità di punire i loro coetanei che non cooperano. L'autore conclude che il senso di giustizia è innato negli esseri umani e non acquisito. A mio avviso la conclusione è forzata, non necessariamente sbagliata, ma non giustificata da queste semplici osservazioni. Infatti all'età di 18 mesi, e molto di più all'età di 4 anni, i bambini sono già sottoposti a una enormità di stimoli esterni e di influenze dei genitori che già hanno iniziato il percorso per educare il bambino al "giusto" modo di comportarsi. Quindi pensare che il comportamento di un bambino a quell'età possa essere innato è a mio avviso francamente pretestuoso.

    Il secondo punto invece è esattamente nelle ultimissime pagine. Anche in questo caso una conclusione forzata in cui l'autore sembra concludere ciò che più gli piacerebbe fosse la verità. Si riferisce ad un criminale che, determinismo o no, alla vista di un poliziotto è cosciente del rischio implicito dovuto alla presenza delle forze dell'ordine e rinuncia al suo intento criminoso. L'autore ne conclude che quella sia una scelta libera e non dettata dalle leggi del determinismo. Anche questa è una conclusione forzata e ingenua. Si potrebbe obiettare che semplicemente nel calcolo deterministico dei neuroni del criminale è entrato un nuovo elemento che stravolge l'equazione, portando quindi ad un risultato diverso che impedisce al criminale di proseguire nel suo intento, non è necessaria alcuna consapevolezza libera insomma.

    Queste osservazioni ovviamente non sono certezze, solo possibilità. Peccato, a mio modesto avviso, che l'autore al contrario le trascuri e proponga certezze di natura opposta, inficiando quindi la qualità del saggio che, se permette sicuramente spunti di riflessione notevoli, resta un occasione mancata a causa della superficialità con cui sono affrontanti certi passaggi.
    Detto questo rimane un saggio interessante, semplice e di scorrevole lettura. Alla portata di chiunque abbia interesse per l'argomento e che non necessità di una solida preparazione scientifica.
     
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2 replies since 8/2/2013, 18:02   148 views
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