Intervista a Laura Pugno

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    CITAZIONE
    Laura Pugno è nata a Roma nel 1970.

    Per diversi anni ha lavorato nelle redazioni di case editrici, riviste e siti web, soprattutto di cinema. È stata lettrice di sceneggiature, e consulente per la Rai.

    Ha tradotto più di una decina tra saggi e romanzi dall’inglese e dal francese e insegnato traduzione all’Università di Roma "La Sapienza".

    Collabora con le pagine culturali del "Manifesto" e con la Cronaca di Roma di “Repubblica”.

    Nel 2001 ha raccolto le sue poesie, con alcune prose di Giulio Mozzi, in Tennis, Nuova Magenta Editrice. Il suo primo libro di racconti, Sleepwalking, è uscito nel 2002 per Sironi editore.

    Nel 2005 è stata finalista al premio di poesia Antonio Delfini e ha vinto il premio Scrivere Cinema all'Autumn Film Festival.

    Ad aprile 2007 pubblica il poemetto Il colore oro, per la casa editrice Le Lettere; a maggio, il romanzo Sirene, per Einaudi.

    È presente in varie antologie di poesia e prosa.
    www.laurapugno.it/io.asp

    sirene_big2



    Una breve introduzione a Laura Pugno, al suo modo di narrare, ai suoi mondi.
    Mi sembra sempre strano rispondere a questo tipo di domande, un po’ come quando nei colloqui di lavoro si chiede al candidato “ci parli un po’ di lei”. Comunque, se devo sintetizzare la poetica della mia prosa, direi che il romanzo di ricerca, in ogni epoca, lavora sui tabù, sui confini del pensiero, nel momento esatto in cui diventa possibile immaginarne – forse non ancora, o non necessariamente, realizzarne – il superamento.

    Qual è stata la tua reazione al successo dei tuoi romanzi?
    Com’è normale, mi fa piacere che il mio lavoro venga apprezzato. Del resto, i miei libri hanno avuto successo, per così dire, soprattutto presso il pubblico dei cosiddetti “lavori forti”.

    Qual è stato il viaggio che ti ha portato alla pubblicazione, e dalla prima stampa a dove sei adesso, in così breve tempo?

    Non è stato un viaggio breve in realtà, solo che la sua prima parte si è svolta tutta nei territori della poesia, che sono poco conosciuti. Giulio Mozzi e Sironi editore hanno creduto nel mio primo libro di racconti,”Sleepwalking”(2002) e poi Einaudi nel mio primo romanzo, “Sirene” (2007). Successivamente ho pubblicato un secondo romanzo, “Quando verrai” con Minimum Fax (2009). In poesia, devo dire grazie ad Andrea Cortellessa che dopo alcune prove giovanili, come “Tennis” (NEM 2002) mi ha permesso di pubblicare, nella coraggiosa collana Fuori Formato, la mia prima raccolta organica, il poemetto “Il colore oro” per Le Lettere.

    Purtroppo ho letto soltanto il tuo romanzo d'esordio, Sirene: ti va di parlarne un po'? Come hai generato questo universo visionario?
    Dopo una quarantina di racconti – i 13 pubblicati in “Sleepwalking” (Sironi 2002), e altri usciti su riviste e antologie – ho sentito il bisogno di misurarmi con una forma più ampia. E gli ultimi racconti che ho scritto, alcuni dei quali anche su commissione, come “La serra”, per l’antologia “Eco e Narciso. 14 scrittori per un paesaggio”, in cui ci era stato chiesto di raccontare una zona della Provincia di Torino – nel mio caso, la serra di Ivrea – o “Progetto Grande Scimmia”, per un’antologia di Fernandel dedicata ai sessant’anni della Resistenza, avevano già qualcosa del romanzo. Proprio perché ho familiarità con forme di prosa diverse dalla narrativa, mi sono potuta dedicare completamente a “raccontare storie”. Poi, la storia di Sirene è nata nella mia mente come un tutto-intero, un uovo, già completa del suo mondo. Del resto il mondo di una storia non è un accessorio narrativo, è una necessità. Ricordo la prima stesura come uno dei più forti momenti di felicità nella mia personale storia di scrittrice. Infatti, irene si è scritto quasi da solo, nel giro di pochissimi giorni, mentre facevo ricerche per un altro progetto narrativo. Mi riferisco naturalmente alla prima stesura. Dopo c’è stato un lungo lavoro di lima e riscrittura.

    In che modo si relaziona con i libri che sono venuti in seguito? C'è un filo conduttore? Ti va di parlare un po' dei tuoi altri romanzi?
    Sirene è un esempio di letteratura fantastica, e un elemento di questo tipo ritorna anche in “Quando verrai” nei poteri di Eva, Ethan e Montserrat. Nella mia scrittura sono presenti sin dall’inizio entrambi i registri, fantastico o più realista. Poi, nella scelta di scrivere romanzi, la prima dimensione per un periodo ha prevalso, anche perché il fantastico permette di ordire meravigliosi congegni narrativi. Questo per quanto riguarda “Sirene” e anche il mio secondo romanzo edito (“Quando verrai”, Minimum Fax 2007), perché nelle ultime cose che sto scrivendo è come se la dimensione del fantastico venisse riassorbita sottopelle, tornando alla realtà ma restando latente, pronta ad esplodere in qualsiasi momento.

    In che modo ti rapporti con le tue storie? Ci sono temi a cui ti senti particolarmente legata?
    Faccio un esempio concreto, il sonno e l’insonnia che tornano nella mia scrittura sin da “Sleepwalking”. Il sonno, i sogni sono un complemento della realtà, una parte della stessa realtà della veglia. Sono quei momenti in cui montalianamente si apre un varco, anche se non si affaccia sulla realtà esteriore ma su quella interiore. Tuttavia, a partire dall’attraversamento di quel varco anche la realtà esteriore può modificarsi, slittando molto dolcemente, senza fratture, nei territori del perturbante, di un mondo reso inquieto da alterazioni, contaminazioni, percorso senza sosta nel bene e nel male dalle tecnologie. Eppure non siamo nel regno della metafora ma in quello della metonimia: quel mondo è il nostro.

    Sonno e insonnia sono due aspetti dell’intermittenza delle nostre percezioni, esteriori e interiori. È come se non avessimo sempre accesso a noi stesso o al nostro mondo, non solo “nello spazio” del conscio/inconscio ma anche “nel tempo” della continuità della nostra identità. L’insonnia è uno strumento narrativo che serve a stancare i personaggi, a renderli più fragili, a metterli più direttamente, e senza il controllo della pienezza delle funzioni fisiche, davanti ai propri dèmoni.

    Nel sonno entriamo direttamente, in uno spazio e in un tempo ritualizzati e quasi addomesticati, in contatto con una parte pericolosa e fondante di noi stessi. Poi c’è l’aspetto quotidiano, anzi biologico: spesso nei miei racconti si fanno le stesse cose che facciamo ripetutamente col nostro corpo nella realtà, si mangia, ci si lava, ci si veste, si fa sesso, si dorme e si sogna per ripetere e costruire un’identità.

    Nasci come poetessa: il passaggio alla prosa come è avvenuto? Esiste una continuità tra questi due tipi di linguaggio?
    L’eredità che il mio lavoro in poesia mi ha lasciato nella prosa è una certa qualità dell’attenzione. Vorrei scrivere una prosa che chiede al lettore, come mi fu detto una volta “di usare tutti i sensi, di affinarli, di stare in allerta”. Per me, lingua e narrazione non sono affatto in antitesi, anzi. Per raccontare una storia non c’è bisogno di imprecisione o sciatteria linguistica, semmai del contrario.

    La poesia è fruibile da un pubblico diverso rispetto a quello della narrativa, i tuoi lettori chi sono, in entrambi i casi? E tu, vedi queste due cose come scisse, o in fondo sono solo due sfumature diverse dello stesso mondo interiore?
    Nei primi tempi la prosa mi ha assorbito al punto da farmi sperimentare una sorta di perdita nei confronti della poesia. Poi la poesia, fortunatamente, è tornata, anche se adesso sono in un momento di silenzio. Scrivere prosa mi ha aiutato a passare, anche in poesia, dal frammento al progetto, senza con questo fare a meno del frammento.

    Detto questo, va anche sottolineato che io cerco di scrivere poesia/poesia e prosa/prosa. Poi naturalmente ci sono delle osmosi, degli scambi d’acque. Quello che c’è nei miei romanzi è un’attenzione al potenziale ipnotico, incantatorio del linguaggio.
    In quanto ai miei lettori di poesia e di prosa, sono due insiemi diversi che per una piccola parte si sovrappongono. Ne prendo atto, anche se mi piacerebbe che la mia opera venisse letta come un intero.

    Tu come lettrice, che tipo sei? Cosa leggi? E quanto leggi?
    Una lettrice onnivora, sin da bambina. Leggo di tutto, anche se ci sono delle fasi. Per esempio, negli anni dell’Università leggevo quasi esclusivamente poesia e saggistica, e molta meno narrativa, che invece adesso occupa gran parte delle mie ore di lettura. Non si diventa scrittori senza un piacere profondo, una golosità per la lettura.

    Ho visto che sei traduttrice - io studio mediazione linguistica, quindi il tema del "tradurre/tradire" mi è molto caro, e mi piacerebbe molto avere il punto di vista di una che lo fa di mestiere. Quanto di te c'è nelle tue traduzioni? Quanto si perde dell'opera originale?

    Premetto che da qualche anno ho abbandonato la traduzione di romanzi e saggi come mestiere, e che ultimamente mi ci dedico solo in misura limitata, perché il tempo a mia disposizione, tra gli impegni di lavoro e la prosa, si è molto ridotto: qualche traduzione di poesia, qualche articolo…..Quando ho iniziato, intorno ai 25 anni, mettevo sicuramente molto di me nei libri che mi capitava di tradurre: ero una scrittrice in formazione e la traduzione è stata parte del mio apprendistato, è stata il ponte – uno dei ponti – che mi ha portato dalla poesia alla prosa. Adesso, quando traduco, il mio approccio è molto più distaccato. In quanto all’opera originale, che si perda qualcosa è inevitabile: la sfida è restituire qualcos’altro.

    Edited by Yelena‚ - 22/7/2011, 10:33
     
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