De rerum natura, piccola introduzione

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  1. aspirantelatinista
     
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    Lucrezio è l’autore di un poema didascalico ( in esametri) in sei libri, il De rerum natura, dedicato all’esposizione della dottrina del filosofo greco Epicureo (341-271/270 a.C.). Opera di grande valore dimostrativo e di forte levatura poetica il De rerum natura illustra i principi base della fisica e della cosmologia epicurea, deducendo una vasta rete di considerazioni morali con intento terapeutico nei confronti dei mali che affliggono gli animi degli uomini: timore degli dei, timore della morte, illusioni, passioni e pregiudizi. Lotta delle superstizioni e dei vani timori significa opporsi giorno dopo giorno alle false paure, agli inganni alle vuote credenze, senza il conforto di una fede religiosa che dia pace, promettendo un al di là che risarcisca i meriti e punisca le colpe. Da questo punto di vista la fede della ragione, foriera di libertà e serenità interiori, è più aspra della fede religiosa: il credente laico è solo con se stesso e non c’è da stupirsi che Lucrezio, diversamente da Orazio mostri un’anima in preda allo sconcerto, battuta dal dubbio. L’unico mezzo in possesso al saggio è proprio questa ragione che l’eguaglia agli dei e regala felicità. Infatti, la conoscenza della natura (naturae species ratioque), dei meccanismi connessi alla nascita e alla morte, all’aggregazione e alla disgregazione della materia donano una serenità duratura. Per Lucrezio il mondo, l’universo, sono un aggregato di atomi, particelle sottilissime, invisibili all’occhio nudo, imperiture e indivisibili, addirittura anche l’anima umana è formata da questi atomi. La vita la morte non sono che un unirsi e un disunirsi di questi corpuscoli. Essendo essi imperituri nulla nasce dal nulla e nulla ritorna al nulla (nullam rem e nilo gigni divinitus umquam […] neque ad nilum (sot. natura) intermat res). La concezione della natura che traspare dal poema, benché tutt’altro che insensata, è sicuramente superata, bisogna certamente puntualizzare che Lucrezio non ha nutrito ambizioni di scienziato. Tuttavia le istanze psicologiche e morali del poema lucreziano non cessano di essere attuali. Come la lotta alle superstizioni che opprimono gli animi degli uomini, turbando ogni loro gioia con la paura: se gli uomini sapessero che dopo la morte non c’è nulla, se diventassero, così, insensibili alle minacce di pene eterne profferite dagli indovini smetterebbero di essere succubi della superstizione. Lucrezio è un animo gentile, che soprattutto in certe articolazioni del suo pensiero morale, arriva a concepire un vero e proprio messaggio di liberazione dell’umanità dalle tenebre dell’errore, mostrando la via per raggiungere l’equilibrio interiore, di qui la scelta del poema didascalico. Lucrezio è un maestro che non lascia da solo il proprio discepolo/lettore. Conscio della difficoltà della materia da lui trattata, egli esorta il lettore affinché segua con diligenza lo snodarsi dell’argomentazione. Lucrezio non vuole essere oscuro nell’argomentare la sua tesi, nemmeno priva la sua poesia di abbellimenti retorici e stilistici. A questo proposito durante la serrata trattazione degli argomenti vengono utilizzate numerose immagini e un linguaggio analogico, affinché aiutino il lettore a capire i fenomeni immensamente piccoli e immensamente grandi, che sfuggono all’occhio umano. Ma tra il maestro e il lettore si instaura un particolarissimo rapporto che si può definire sublime. Il destinatario benché fragile e umano, fatto responsabile agli insegnamenti diviene consapevole della propria grandezza intellettuale. Il sublime diventa non solo una forma stilistica che rispecchia una forma di interpretazione del mondo, ma anche una forma di percezione delle cose. Il sublime coinvolgendo il lettore del testo e perciò spettatore della grande poesia lucreziana, gli suggerisce un bisogno morale. Ecco che il sublime diviene un invito all’azione. E così tutto il De rerum natura si configura come un protreptikòs lògos, come un insegnamento che contiene un drammatico consiglio: tu stesso, lettore, devi divenire lo specchio di questa sublimità terribile e maestosa, tu stesso devi divenire un lettore sublime capace di emozionarsi dentro di sé . Resta scoperto un interrogativo, perché Lucrezio avrebbe scelto la poesia e non la prosa? La poesia rendeva gradevole al pubblico romano, certamente ignorante in filosofia, la chiarezza dei lucida carmina addolcita dal lepos avrebbe potuto afferrare anche persone lontane dall’epicureismo. Così persino i lettori cristiani si interessarono al poema ammirandone il vigore poetico. Dal punto di vista lessicale Lucrezio, al fine di conseguire il lepos, la grazia sottile dello stile, non si risparmia la possibilità di fare uso di un patrimonio linguistico vario e composito, tra i cui caratteri si rintraccia il gusto verso l’arcaismo che accompagna uno stile poetico costantemente alto. L’impulso alla creazione poetica ha fatto sì che Lucrezio, pur trattando di filosofia greca, rinunciasse quasi del tutto all’introduzione di grecismi sostituendoli con formazioni originali, che tuttavia rendono validamente il lessico filosofico epicureo. Per quanto riguarda lo stile Lucrezio si adegua allo stile elevato dell’epica, facendo ricorso a numerosi espedienti retorici, dagli artifici fonico timbrici, alle figure di parola, alle figure di pensiero. Il più frequente e vistoso è l’allitterazione, mentre l’anafora ha le funzioni di scandire le tappe essenziali dell’argomentazione. Anche la collocazione delle parole all’interno del verso è attentamente calibrata: sono presenti dei kola, spesso disposti a chiasmo. Altra peculiarità dello stile di Lucrezio è l’abbundantia di nessi argomentativi nelle parti più serrate del discorso (Quare, etiam atque etiam, praeterea, denique, adde porro, quo pacto..). Lucrezio oltre ad esseri ispirato a fonti prettamente epicuree come il Περί Φύσεως di Epicuro ( al quale si ricollega già nel titolo) e alle varie Epistole, riprende, per quanto riguarda l’impostazione didascalica il Περί Φύσεως di Empedocle. Dal punto di vista letterario il De rerum natura denota la conoscenza di Omero, specialmente l’Odissea e dei tragici. Per quanto riguarda la descrizione della peste d’Atene nel libro VI Lucrezio utilizzò come fonte privilegiata Tucidide. Inoltre si possono ravvisare degli echi saffici (31 lobel-page), la concezione della poetica è mutuata da Callimaco, e le descrizioni di quadretti ameni e paesaggistici sono riprese da Teocrito.
     
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