Osip Mandel'štam

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    Osip Emil'evič Mandel'štam nasce nel 1891 a Varsavia e trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Pietroburgo, dove nel 1911 si iscrive alla Facoltà storico-filologica. Nel 1912 partecipa alla "Gilda dei poeti acmeisti", insieme a Nikolaj Gumilëv e Anna Achmatova e scrive Utro akmeizma (Il mattino dell'acmeismo, uscito nel 1919).
    Nel 1913 pubblica a sua spese la raccolta Kamen' (Pietra) nel 1922 esce la sua seconda raccolta Tristia per la casa editrice russo-berlinese Petropolis. Si stabilisce con la moglie Nadežda Jakovlevna Chazina a Carskoe Selo e tra il 1925 e il 1928 pubblica le prose Il rumore del tempo, Il francobollo egiziano e il saggio Sulla poesia.
    Tra il 1929 e il 1930 scrive La quarta prosa, che apparirà in URSS solo nel 1988. Dopo un viaggio nel Caucaso e in Armenia torna a Leningrado, ma gli viene rifiutato un alloggio dal Comitato scrittori della città e la sua situazione economica si aggrava.
    Nel 1933 pubblica su Zvezda Viaggio in Armenia e fra la primavera e l'estate scrive Conversazione su Dante. Nella notte del 13 maggio 1934, durante una perquisizione che requisisce molti versi "antisovietici", Mandel'štam viene arrestato e condannato a tre anni di confino nella città di Čerdyn. Qui, ricoverato in ospedale per una forma di miocardite, tenta il suicidio; la pena viene mitigata grazie all'intervento di Bucharin e, come luogo in cui scontare il domicilio coatto, viene scelta Voronež dove comincia a lavorare presso istituzioni culturali.
    Nel maggio del 1937 torna a Mosca, ma gli viene presto imposto di lasciare la capitale; si stabilisce prima a Savelovo, dove sopravvive grazie all'aiuto economico degli amici e poi a Kalinin e Samaticha. Un anno dopo viene di nuovo arrestato e condannato per attività controrivoluzionaria a cinque anni di lager; muore il 27 dicembre 1938 nel campo di transito di Vladivostok.

    Questo è un autore a cui mi sto approcciando adesso per la prima volta, sto preparando un esame monografico per letteratura russa IV.
    Mi inquieta e mi intristisce, ho postato alcune delle sue poesie, ora sto provando a tradurne alcune, ma è davvero molto difficile.
    Le traduzioni che si trovano su internet non sono molto accurate, ed è difficile trovarne altre, ne esistono solo altre due: una di una tizia che non ricordo come si chiama, e l'altra di remo faccani.
    Non esistono molte traduzioni per la difficoltà dell'interpretazione di questo poeta, che se nel lessico è "semplice" non lo è nei significati, che vanno ben oltre le singole parole... Intrecciate con la sua vicenda esistenziale, che presto vi approfondirò postando i miei appunti.
     
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    Era un genio.
    Tutto qui.
     
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    Lo conosci anche tu!
    :D che bello! io lo "sconoscevo" completamente prima di affrontarlo all'università....
     
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  4. S pondilodisciteinfettiva
     
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    Noi viviamo senza avvertire sotto di noi il paese,
    i nostri discorsi non si sentono a dieci passi di distanza,
    ma dove c’è soltanto una mezza conversazione
    ci si ricorda del montanaro del Cremlino.
    Le sue grosse dita sono grasse come vermi
    e le sue parole sicure come fili a piombo.
    Ridono i suoi baffi da scarafaggio,
    e brillano i suoi gambali.
    Intorno a lui c’è una masnada di ducetti dal collo sottile
    e lui si diletta dei servigi dei semiuomini.
    Chi fischietta, chi miagola, chi piagnucola
    se soltanto lui ciarla o punta il dito.
    Come ferri da cavallo egli forgia un ukaz dietro l’altro,
    a uno l’appioppa nell’inguine, a uno sulla fronte,
    a chi sul sopracciglio, a chi nell’occhio.
    Non c’è esecuzione che non sia per lui una cuccagna...

    Questa gli costò...la vita, praticamente.
     
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    Già....
    il montanaro del cremlino non gliel'ha affatto perdonata! :P in effetti ci è andato giù pesante.
    dì, ma tu lo conosci bene?

    Edited by Yelena‚ - 31/8/2011, 15:00
     
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    “Perché non posso fare un intervento su Mandel’štam.”
    (Intervento alla conferenza dedicata al centenario di Osip Mandel’štam, Londra, 1991)

    Più di ogni altro mi sono cimentato nella poesia di Mandel’štam. Per quindici anni (1964-78) ho letteralmente vissuto con lui. Difficile comunicare quello che riguarda colui che non è sopravvissuto per motivi di età, geografici o per altre ragioni, ma che attraverso ciò si realizzò per noi quel Mandel’stam di quell’atmosfera degli anni ’60 totalmente anormale, ma spiritualmente ed intellettualmente satura. Accanto a tutti i nostri interessi per Pasternak, Berdjav, Solženizyn, Vl. Solovëv e Nabokov, quello per Mandel’stam fu qualcosa di speciale.
    Ho cercato parzialmente di esprimere ciò nell’articolo sul tardo Mandel’stam allo Slavik di Gerusalemme (convegno di slavisti) e, forse, a causa di un eccessivo pathos per l’orecchio occidentale sono stato rimproverato da K.F.Taranovskij.
    Si faceva sentire la vicinanza dei destini e della vita, i nostri e di Mandel’stam (in relazione ai classici e persino a Pasternak), con tutti gli errori terreni. La sua mortefine è stata una sorta di mortefine (poteziale) di tutti noi. Mandel’stam fu una specie di simbolo, un paradigma dell’esistenza dello spirito libero in uno stato totalitario. Fu il nostro compagno di sventura (ma anche di ventura). Mandel’stam è, prima di tutto per la gente, il poeta in una situazione estrema. Siamo stati molto vicini alle parole di Mandel’stam sulla poesia come se fossero state aria rubata, i versi di Mandel’stam furono per noi letteralmente e completamente come aria e, sui due ruoli della letteratura: quella autorizzata, che era una schifezza, e quella scritta senza autorizzazione.
    Ma non si tratta del fatto che il frutto proibito è più saporito: la vita era semplicemente così, infatti quasi tutto ciò che era autorizzato era una schifezza, ma si poteva vivere e respirare solo nella sfera proibita (o semi-proibita). Per questo riflettere o scrivere riguardo Mandel’stam può essere facilmente e naturalmente considerato come respirare. Ma, sicuramente non si tratta di quello che si voleva mostrare ai poteri cioè un fico secconiente di niente pubblicando ad Amsterdam o a Gerusalemme, questo era il procedimento naturale di auto-espressione. Ma naturalmente fu così che quando il KGB naturalmente in una perquisizione estranea rinvenì delle bozze di alcuni miei articoli, a ciò seguì una chiamata ed un colloquio, lungo e poco piacevole, accompagnato da delle minacce e così via. In particolare ho dovuto dimostrare che riportavo parole di Mandel’stam da una lettera di Tynjanov (“…avendo modificato qualcosa nella sua costruzione e composizione”) non avevano in mente un violento cambiamento della costruzionestilestruttura esistente, né con la costruzione di Mandel’stam, né con la mia. In seguito a misure estreme due miei articoli su Mandel’stam (ed uno su Pasternak) furono dichiarati antisovietici e le loro bozze confiscate. Così la competenza riguardo Mandel’stam divenne pressoché casalingadomestica (o da cucina) denunciandosi appena, di tanto in tanto e semi pubblicamente ( la meravigliosa improvvisazione di Brodskij “Custodisci il mio discorso” durante il primo giorno della nostra conferenza fu la sua concezione ideale).
    Sono pronto ad aggiungere: ecco come era la vita!

    La trasparenza e la risoluzione, a partite dal 1986, cacciarono e cambiarono completamente questa atmosfera. Eravamo tormentati dalle code e dalla mancanza di soldi ed ecco che andammo in Inghilterra: la situazione era completamente schizofrenicaalienatadissociata. Viviamo in un mondo del tutto diverso rispetto a prima. Le questioni della poetica e, dell’opposizione di un unico uomo alla violenza dello stato, si offuscarono di fronte ai problemi di mercato, di democrazia, di diritto, di violenza di massa, di nazionalismo ecc…ecc… .
    In questo nuovo mondo quasi non c’era posto per i versi. “Lo spazio perse sia il colore che lo stile”. E non fu più possibile vivere attraverso Mandel’stam e con Mandel’stam come era prima, quasi come se noi fossimo diventati a lui indegni tanto più che la nostra libertà era relativa, concessa e non conquistata (sicuramente non parlo di quelli come Josif Brodskij, ma più in generale parlo per la personalità di coloro che dividono il punto di vista).

    Io ci ho fatto la mano grazie ad anni di esercizi poetici. Ma il tema dell’alogico e dell’aleatorio e mi è vicino e mi interessa in se stesso. Ma ho capito che non posso redigere né curare questo intervento: sarebbe stato una mediocre ripetizione di ciò che era stato prodotto 20 anni fa. E persino se avessi potuto sarebbe stata una violenza su di noi e nei confronti del materiale e, soprattutto qualcosa di umiliante poiché si tratta di quell’uomo libero e di quel poeta che fu Mandel’stam.
    Si può intraprendere uno studio su di lui avendo conosciuto totalmente e con disinvoltura le sue ragioni interne e avendo condiviso i suoi sentimenti, anche se ciò oramai si è perso.

    Vivere in Russia, avendo fiducia, un bel giorno vi rimetterà nella vostra normale carreggiata.
    Ma la competenza riguardo Mandel’stam ha già guadagnato un normale status civile al pari di quella riguardo Puškin. E grazie a Dio questo è notevole. Ma io parlavo di quello che accanto a ciò si è perso e, sono molto felice per quelli che si possono occupare di Mandel’stam, in occidente ed in Russia, come non è mai stato fatto.
     
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    di Andrea Tarabbia

    fonte (http://www.dissidenze.com/modules.php?op=m...fe72d5a6927f3d4)

    "La mia seconda vita continua…"
    Lettera a Pasternak, 1936


    Il 3 dicembre 1972, iniziando un articolo nella sua rubrica letteraria sul Tempo, Pier Paolo Pasolini ebbe a chiedersi, a proposito di Osip Mandel’štam, se la sua fosse stata una "vita" (1). Questa osservazione, del tutto priva di vis polemica ma volta semplicemente ad aprire il campo ad un’analisi comparata dell’opera del poeta e delle sue scelte di vita, mi ha fatto tornare in mente l’apertura di un brevissimo pamphlet del 1928, intitolato Čitatel’ i pisatel’ [Lettore e scrittore – tradotto in italiano come "Il poeta parla di sé" (2)] in cui un Mandel’štam al quale sono già pervenute più ingiunzioni a non pubblicare scrive: "La rivoluzione d’Ottobre non ha potuto fare a meno di esercitare un’influenza sul mio lavoro, poiché mi ha tolto la "biografia", la sensazione di un significato personale." Pasolini descrive la vita di Mandel’štam come "dolorosamente incompiuta, negata, irrealizzabile" e sostiene che il poeta, al cospetto dello stalinismo, "si è difeso facendo il morto", con una passività e un’immobilità irreali. Le due affermazioni, quella autografa e quella degli anni Settanta, sono apparentemente sorelle, ma nascondono una sottile differenza che mi pare utile sottolineare: infatti, a cosa si riferisce veramente Mandel’štam quando sostiene che la rivoluzione lo ha privato di un significato personale? Al suo destino o a quello del popolo sovietico? Io credo che la vita "negata" e priva di biografia di Mandel’štam nasconda in realtà almeno due vite a specchio, e che un’analisi attenta dei suoi testi e delle sue peregrinazioni possa mettere in evidenza lo scontro di statica e dinamica che ne ha contraddistinto la vita e le opere. Mandel’štam ha vissuto e scritto in un regime di constante traslocazione fisica e poetica, come sottolinea Remo Faccani nella sua prefazione a un’edizione italiana del Razgovor’ o Dante (3): ad esempio l’affinità e l’amore per Dante provati dal poeta sono, secondo Faccani, figli di una simpatia che coinvolgerebbe anche il "senso dell’esilio" che Mandel’štam porta con sé per gli anni Venti e Trenta, mentre viene mandato al confino a Voronež, mentre sverna in Crimea o semplicemente trasloca di appartamento in appartamento a Mosca. Come Dante, Mandel’štam è esule in patria, come lui si sente apolide. Se il Novecento ha avuto un "poeta dalle suole di vento", quello è stato –spesso suo malgrado- proprio Mandel’štam, che pare esserne consapevole se si guarda ai versi d’apertura di un componimento privo di titolo datato 7-11 febbraio 1937: "Ancora un logorarsi di scarpe essa ricorda/la frusta nobiltà delle mie suole" (4), che richiama un appunto dell’autore stesso a proposito del viaggio dantesco all’interno della Conversazione: "A me, sul serio, vien fatto di domandarmi quante suole di pelle bovina, quanti sandali abbia consumato, l’Alighieri, nel corso della sua attività poetica, battendo i sentieri da capre dell’Italia." Viene da pensare al fatto che il verso russo sia costituito da "piedi" e che i contemporanei di Mandel’štam (basti pensare ai Dodici di Blok e alla poesia di Majakovskij) , misurassero spesso il ritmo della propria versificazione su quello dei passi e delle marce militari. Il verso russo è un verso cadenzato e musicale, che vive di un’accentazione potente e a volte marziale, costruita per imporre al lettore un ritmo che è in tutto e per tutto quello di una falcata. Siamo abituati a considerare "vivo" chi incarna su di sé il cronotopo del viaggio e dello spostamento. La vita e l’opera di Mandel’štam sono costruite, si direbbe, proprio su un continuo rimando tra la statica e la dinamica che lo rendono incredibilmente moderno e novecentesco e vivo. Ha ad esempio ragione Pasolini quando sostiene che nella sua poesia non ci sia una vera e propria evoluzione, ma che essa si presenti come una specie di "blocco unico". In questo senso, il titolo della sua prima raccolta poetica del 1913, Kamen’ ["Pietra"] è rivelatore: la poesia di Mandel’štam è una poesia statica, immobile, ferma attorno alla parola perfetta. La sua lingua intrisa di classicismo è una lingua che mira a farsi universale e a rispecchiare la sua visione pancronica della cultura e dell’arte poetica (come Blok e Belyj, anch’egli vide nell’Ottobre la possibilità di una resurrezione dei padri e di un ripristino dell’antichità classica: "Voglio Ovidio di nuovo, e Puškin, e Catullo."). La sua poesia è quindi ferma, e si fa curiosamente più immobile con l’aumentare delle occasioni forzate di viaggio, perché più passa il tempo più il sogno acmeista di trovare una lingua universale e unica gli sembra vicino e raggiungibile: man mano che passano gli anni, Mandel’štam avvicina sempre più i vocaboli agli oggetti, e riesce a far percepire fisicamente una presenza concreta attraverso il suono della parola che sceglie per rappresentarla. Allo stesso tempo, Mandel’štam viaggia, si sposta, viene arrestato e confinato, fino a venir arrestato definitivamente e lasciato morire a Vtoraja Rečka, campo di transito sulla strada per il GULag di Vladivostok. L’uomo che ha trovato la lingua immobile e perfetta non ha una casa e non si ferma più di qualche mese in nessun posto. Qui si apre il grande paradosso della vita di Mandel’štam: la sua visione statica si scontra con l’idea tutta dinamica di progresso e di avvenire propagandata dal regime staliniano che è in sé e per sé, dal punto di vista letterario, il più immobile e conservatore possibile (5). Mandel’štam oppone alla staticità "politica" delle lettere sovietiche una staticità classica che le è superiore. Al flusso della storia e al terrore egli oppone una visione poetica colta e concreta, che trova le proprie radici in un innato senso della purezza che non poteva in nessun modo collimare con le esigenze dello stalinismo. Ne viene lo scontro tra due colossi dell’immobilità da cui il poeta esce inevitabilmente sconfitto sul piano della biografia personale. Perché Mandel’štam non si oppose? Perché preferì "fare il morto"? La vita di Mandel’štam è una vita che fu condotta sempre "di lato", ma non è esatto sostenere che egli non si oppose: è vero piuttosto che non lo fece in modo ortodosso. Si legga La quarta prosa, in cui risponde a un’accusa di plagio per una traduzione: "Divido tutte le opere della letteratura mondiale in autorizzate e non autorizzate. Le prime sono una schifezza, le seconde aria rubata. Vorrei sputare in faccia agli scrittori che scrivono cose preventivamente autorizzate, vorrei percuoterli sulla testa con un bastone e metterli tutti a tavola nella Casa dei Letterati (…). Vieterei a questi scrittori di contrarre matrimonio e di procreare (…)." (6) Mi sembra tempo di riconoscere che l’assoluta uniformità della sua parola poetica ci rivela un artista che non scese mai a nessun tipo di compromesso né con il potere né con le tendenze letterarie "autorizzate". Dalle memorie della moglie Nadežda, così come dai racconti a lui dedicati per esempio da Varlam Šalamov, emerge una figura poetica enorme celata da un atteggiamento apparentemente remissivo: ma non è raro imbattersi in scritti che rievocano la vita nel GULag in cui si racconta di un uomo magro che, la sera nelle baracche, si alzava e cominciava a recitare a memoria per i compagni versi della Commedia, della "borghese" Commedia in originale. Non capisco dunque Pasolini quando lo descrive come remissivo e votato all’umiliazione pur di non andare contro lo stato vigente delle cose. Forse la vera discriminante sta nella profonda distanza che c’è tra i due: sempre in prima linea e sempre urlato l’italiano, sempre posato e silenzioso il suo predecessore russo. Eppure in un brano come quello citato poco fa dalla Quarta prosa Pasolini dovrebbe ritrovarsi appieno e riconoscere al collega la capacità di prendere posizione e di uscire dal grigio. Quelle di Mandel’štam furono due vite, una biografica piena di dolore, di privazioni e di movimento, e una poetica che racchiude la prima, di cui è molto più grande e scultorea, e la rende un’esperienza di assoluta purezza. Egli fu una persona mite, di quella mitezza che a volte si rischia di confondere con la viltà. È l’ultimo grande poeta del Novecento che, per essere letto, ha bisogno di uno scrittoio, di una luce fioca e del silenzio. Se fece il morto –e non lo fece- fu in nome della parola.




    NOTE


    1) P.P.Pasolini, Descrizioni di descrizioni, Milano, Garzanti, 2006, p. 27.
    2) O. Mandel’štam, Sulla poesia, Milano, Bompiani, 2003, p. 27.
    3) O. Mandel’štam, Discorso su Dante, Genova, Il melangolo, 1994.
    4) O. Mandel’štam, Cinquanta poesie, Torino, Einaudi, 1998, p. 97.
    5) Ne sono testimonianza molte liriche majakovskijane, ma anche le direttive del Congresso degli Scrittori del 1934 in cui si stabilirono le caratteristiche del Realismo Socialista. Ironia della sorte, venivano bandite quelle forme d’arte in cui i concetti non venivano espressi il più chiaramente possibile.
    6) In Sulla poesia, cit., p. 35.



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    SILENTIUM 1910-1935

    Она ещё не родилась,
    Она и музыка и слово.
    И потому всего живого
    Ненарушаемая связь.

    Спокойно дышат моря груди,
    Но, как безумный, светел день.
    И пены бледная сирень
    В черно-лазоревом сосуде.

    Да обретут мои уста
    Первоначальную немоту,
    Как кристаллическую ноту,
    Что от рождения чиста!

    Останься пеной, Афродита,
    И, слово, в музыку вернись,
    И, сердце, сердца устыдись,
    С первоосновой жизни слито!



    Silentium
    Ella ancora non è nata,
    Ella è musica e parola,
    Poiché è di ogni creatura
    L'inviolabile legame.

    Piano respira il mare dei miei seni,
    Ma, come impazzito, splende il giorno.
    Un lillà pallido di schiuma
    In un vaso azzurro scuro.

    Possano le mie labbra ritrovare
    Il silenzio primordiale
    Che come nota di cristallo
    Pura risuoni dalla nascita!

    Resta come schiuma, Afrodite,
    E tu, parola, torna musica:
    Vergognati del cuore, cuore,
    Fuso nell'origine della vita!


    Silentium (trad. Erri de Luca)
    Ancora non è nata
    è musica e parola
    perciò di quanto è vivo
    è vincolo insolubile.

    Quieto respira il mare del mio petto
    ma il giorno dissennato è luminoso.
    E della schiuma il pallido lillà
    è dentro un vaso nerazzurro.

    Che possano trovare le mie labbra
    il silenzio primitivo
    come la cristallina nota
    di limpida sorgente.

    Stattene come schiuma,tu Afrodite,
    e tu parola rientra nella musica,
    tu cuore vergògnati del cuore
    saldato al fondamento della vita.

    Silentium è una delle prime opere di Mandel'štam, in cui è ancora possibile riconoscere alcuni aspetti, legati al simbolismo, che nel corso degli anni, con la progressiva maturazione della visione del poeta, verranno accantonati o messi in secondo piano, come l'uso delle metafore, la musicalità del verso, il rapporto tra io interiore e mondo esterno.

    Protagonista della poesia è oна: a chi si riferisce questo pronome? Pare evidente che indichi Афродита, dea greca della bellezza, dell'amore, della sessualità.
    Il richiamo alla nascita di Afrodite dalla spuma sembra riecheggiare il mito greco per cui la divinità nasce dal mare fecondato da Zeus, che lascia sottintendere una sorta di concezione divina della bellezza secondo la quale è la divinità che riversa la bellezza sulla terra.
    Tuttavia Mandel'štam nelle immagini che raffigura non fa direttamente riferimento a questo aspetto, anzi, la schiuma viene dal mare come se ne facesse parte, è come se lo compenetrasse, vi si stendesse e allo stesso tempo ne fosse contenuta, in un unico “involversi” delle cose, annullando in questo modo la contrapposizione simbolista terra-cielo. Questo sembra alludere al fatto che la bellezza è intrinseca nel particolare come nel tutto, innata in ogni creatura e in qualche modo scissa dal creatore.
    Il nome greco della dea, 'Aφροδίτη deriva da 'Aφρός, spuma, interpretato come “sorta dalla spuma”. L'etimologia del nome è ripresa nella poesia, in cui Mandel'štam invita la dea a tornare spuma, e la bellezza a non rivelarsi tramite parole che non siano in grado di esprimere la sua purezza.
    Eppure Mandel'štam non tace, e in qualche modo sembra dare alla parola il compito di promuovere il proprio pensiero. Sembra prendere forma l'idea che la bellezza di una poesia risieda nella bellezza di ogni sua componente.
    L'uso del lessico è quindi, anche per questo, molto attento. I suoi componimenti non presentano termini obsoleti o di difficile interpretazione, ma sono molto chiari e di uso comune e vengono usati in maniera molto ben definita.
    è significativo come egli sia tornato su questa lirica a distanza di 25 anni per correggere una singola parola: il vaso, da мутно-лазоревы (azzurro opaco), come è nella stesura originale e in ogni edizione fino al 1928, diviene nel 1935 черно-лазоревый (nerazzurro), accentuando il contrasto tra il colore azzurro e la sua cupezza, sottolineando un'immagine di un contenitore funereo, estremamente cupo, che sembra essere la metafora di un mare lugubre, e porta a riflettere sul fatto che la bellezza può manifestarsi in un oggetto non appariscente o quieto ma anche inquietante e luttuoso.

    Un ulteriore esempio può essere l'uso dell'aggettivo кристаллический, il quale significa, alla lettera, “di cristallo”, riferito al minerale, non “cristallino”, aggettivo riferito a un suono, che avrebbe dovuto essere хрустальный. In questo modo viene posto l'accento sul materiale che produce il suono, rendendo l'immagine molto più vivida e definita.

    Di pari passo all'attenzione data al significato delle parole, va la grande importanza la metrica (qui: tetrapodia giambica con quartine a rima incrociata aBBa) e il ritmo dei versi.
    Per Mandel'štam la poesia nasce dal suono, non si basa sulla forma delle parole ma sulla loro musicalità. Questo procedimento verrà nel corso degli anni estremizzato fino al punto di arrivare a sacrificare persino la sintassi per permettere al ritmo di prendere il sopravvento.

    Un altro aspetto che rende ancora più difficoltosa la sua interpretazione – e che andrà ad assommarsi agli altri, rendendo speso inintelligibile il significato ultimo dell'opera – è il continuo riferimento ad autori classici e contemporanei, con i quali egli sembra instaurare una sorta di dialogo dato all'elaborazione e reinterpretazione delle loro parole.
    In questa poesia Remo Faccani fa notare come siano stati individuati riferimenti a Tjutčev, Deržavin, Verlaine. Ovvio è quello alla cultura ellenica.
    In particolar modo, le ultime due strofe sembrano tracciare un parallelo con l'opera di Fëdor Ivanovič Tjutčev, richiamata già nel titolo: Silentium!
    CITAZIONE
    Silentium! (Фёдор Иванович Тютчев)

    Молчи, скрывайся и таи
    И чувства и мечты свои -
    Пускай в душевной глубине
    Встают и заходят оне
    Безмолвно, как звезды в ночи, --
    Любуйся ими - и молчи.

    Как сердцу высказать себя?
    Другому как понять тебя?
    Поймет ли он, чем ты живешь?
    Мысль изреченная есть ложь.
    Взрывая, возмутишь ключи, --
    Питайся ими - и молчи.

    Лишь жить в себе самом умей --
    Есть целый мир в душе твоей
    Таинственно-волшебных дум;
    Их оглушит наружный шум,
    Дневные разгонят лучи, --
    Внимай их пенью - и молчи!

    Silentium! (Fëdor Ivanovič Tjutčev)

    Taci, nascondi e cela
    I tuoi sentimenti e i tuoi sogni -
    Lascia che nel fondo del tuo cuore
    S'innalzino e tramontino
    Muti come stelle nella notte, --
    Ammirali - e taci.

    Potrà mai un cuore esprimersi?
    Potrà capirti qualcun altro?
    Come potrà comprendere quel che vivi?
    Un pensiero pronunciato è una menzogna.
    Una sorgente mossa è offuscata, --
    Alimentatene - e taci.

    Vivi dentro la tua testa,
    Nella tua anima c'è un mondo intero
    Di segreti e magici pensieri;
    Assordati dal frastuono esterno,
    Accecati dai raggi del giorno, --
    Ascolta il loro canto - e taci!

    Torna, innanzi tutto, il riferimento al cuore: Mandel'štam sembra richiamarlo al silenzio, al pudore. Il suo sembra un auto-incitamento a tacere, perché i sentimenti sono destinati a dover essere nascosti nel caso in cui le labbra non riescano a trovare l'espressione giusta per non banalizzarli. Il cuore, simbolo dell'animo, degli affetti, è “fuso nell'origine della vita”, legato in maniera inscindibile alla realtà concreta, eppure da essa in qualche modo allontanato, incapace ad esternarsi in tutta la sua complessità.
    Il risultato è una chiusura, un mutismo, una regressione: la bellezza che non è ancora nata potrà diventare parola musicale, ma nel caso in cui la parola sia inesatta o inadeguata, questa dovrà rifluire in musica, tornare alla propria origine non articolata.
    In entrambe la poesie l'invito è quindi quello di coltivare il silenzio piuttosto che un'espressione malcerta del proprio mondo interiore. La parola sembra non essere degna di esprimere la profondità del pensiero, si deve cercare di tornare alla purezza e limpidezza primordiale.

    Questa ricerca di introspezione denota la profonda contrapposizione tra mondo interiore e mondo reale, anche questo aspetto caro al simbolismo, che sembra non avere scioglimento.
    Il tema della bellezza quindi viene articolato in riferimento all'incapacità della stessa di essere espressa. Soggetto narrante è quindi l'io del poeta, che si espone in prima persona sebbene non faccia mai riferimento diretto a se stesso.
    Questo forte soggettivismo è una delle caratteristiche di Mandel'štam, ed è anche uno dei punti più spesso criticati dai suoi contemporanei e da molti studiosi successivi: viene visto come un poeta “intimista”, “da camera”, che difficilmente potrà fare da portavoce di una nazione.
     
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