権叔父
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Non ho ben capito il senso di questo libro. Da alcuni viene classificato come romanzo o opera di finzione, perché ci sono ampie parti frutto della fantasia dell'autore, ma io propenderei più che altro per il saggio. Il libro si compone di vari capitoli divisi sostanzialmente in quattro parti: l'idea che sta alla base è, credo, quella di dare voce alla parte "umana" della scienza, restituire la dimensione mondana e le vicissitudini vissute dai creatori di quelle teorie e formule che a noi, quando le studiamo, sembrano belle pronte e immutabili ma che hanno subito innumerevoli maneggiamenti e traversie per arrivare a quel che sono oggi. Non c'è un filo logico che collega le 4 storie raccontate, sono semplicemente grandi fisici e matematici del 1900 che si sono scontrati a un certo punto con un dilemma, sia esso fisico, filosofico o morale. L'ultima parte, quella sulla meccanica quantistica, segna il momento in cui l'uomo ha smesso di capire il mondo: per quanto si elaborino teorie e formule sofisticate, la nostra mente non è fatta per comprendere come un corpo possa occupare più stati contemporaneamente, andare in due direzioni diverse allo stesso tempo, essere insieme una cosa puntiforme e un'onda, che è come si comportano le particelle subatomiche. L'elaborazione dell'interpretazione di Copenhagen segna anche la fine di un grande sogno dei deterministi di stampo Newtoniano: se non è dato conoscere tutti i parametri dei corpi che compongono un sistema fisico, non è più possibile prevedere esattamente la sua evoluzione come presupponeva "l'universo a orologeria" di Newton. È un grandissimo cambio di paradigma, a cui uno dei più grandi contribuenti della teoria, Schrödinger, tentò di opporsi per primo, inventando il famoso esperimento mentale del gatto che è contemporaneamente vivo e morto, associando così - per uno di quei crudeli scherzi del destino - il suo nome ad un esperimento che invece di invalidare la teoria qiantistica, la rappresentava perfettamente. Personalmente ho amato di più i capitoli su Haber e Schwarzschild, un po' perché di meccanica quantistica ho già letto in giro, un po' perché, vuoi non vuoi, la vita e i dilemmi morali mi interessano a priori più delle teorie scientifiche. Entrambi hanno dato vita a mostruosità reali o metaforiche - il primo inventò l'iprite, ma anche un sistema per estrarre azoto e salvare il mondo da una carestia globale: come dobbiamo "giudicare" quest'uomo? Le morti causate e le vite salvate si bilanciano? -, Schwarzschild risolvendo le equazioni della teoria della relatività generale di Einstein creò un sistema molto elegante ma che aveva una falla, che però non era una falla, ma solo una cosa talmente assurda che il suo stesso creatore si rifiutava di crederci: una singolarità, un punto dello spazio in cui la massa tendeva ad essere infinita e tutta la materia circostanze finiva risucchiata senza possibilità di tornare indietro, sparendo per sempre dall'orizzonte dell'universo osservabile. Anche se non è scritto un maniera proprio impeccabile, il libro ha avuto il merito di ricordarmi come le teorie e le idee che noi diamo per scontate e assodate siano in realtà frutto di lunghissimi percorsi e lotte di idee, e che all'occorrenza possono e devono essere modificate e aggiustate a seconda di come la nostra cognizione delle cose è cambiata, dimostrandoci che non avevamo mai veramente capito il mondo.
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