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Dunque, non so bene perché, ma questo libro mi è piaciuto. Non so perché, dal momento che è "francese", come direbbe Ellen, ed è vero, perché mescola alcuni episodi della vita botanica dell'autore a schizzi di personaggi storici che hanno arricchito le conoscenze naturalistiche francesi. Gli episodi della vita sono in ordine cronologico (e questo già è bene), le vite dei naturalisti non sono approfondite; ma è pur vero che, negli altri libri, dominano la scena, sia divulgativa che culturale dell'epoca, quasi sempre gli inglesi, con Darwin in testa. Non c'è da dimenticare che anche i francesi conquistarono parecchi territori e si aprirono l'accesso -anche violentemente- verso le conoscenze naturalistiche delle colonie. Ma non sono tantissimi i libri in cui finora ho incontrato naturalisti francesi, quindi in qualche modo gli spunti che il libro mi fornisce ci sono. Inoltre, l'autore narra senza troppa superbia gli episodi della sua vita universitaria, e in alcuni dei passi che descrive ho trovato aria di casa. Ovviamente le nostre strutture non possono minimamente competere con l'enorme erbario descritto da Jeanson, in cui passava i pomeriggi e ci si poteva perdere, e anzi solo a sentirne parlare sono diventata verde d'invidia. Ma lui descrive con affetto i personaggi che lo abitano, il suo smarrimento nei confronti della vastità di una disciplina che cambia e di un modo di studiarla che si evolve con l'avvento dei metodi molecolari, nei confronti della necessità di dover restringere il campo di studi (lui è un palmologo, ammesso esista il termine), la sensazione di mediocrità verso gli enormi personaggi del passato che pesano sulle spalle dei naturalisti di oggi. E descrive anche bene lo smarrimento di tutto l'erbario e di chi lo popola quando i metodi molecolari di classificazione hanno soppiantato quelli morfologici, e con la nuova tassonomia tutto l'edificio ha subito un completo riammodernamento che però ha lasciato un po' orfani chi ne usufruiva.
Quindi, non so, non è un libro imperdibile e non dice nulla di particolarmente nuovo, ma ci ho trovato qualcosa di molto personale: è un po' la parabola di chi si avvicina al mondo naturale attraverso la tassonomia, e sogna da bambina i vecchi cercatori di piante, i cacciatori di orchidee; chi sogna una vita china sui campioni al microscopio... e poi. E poi niente, in realtà non è proprio così, poi scopre che quello è un romanzo, un miraggio, che nel frattempo è tutto diverso, che il tassonomo lo si fa più per diletto, quello è un po' il chiusone che per carità, serve sempre, ma: devi essere uno specialista, sennò la tua conoscenza è troppo diffusa, e ti perdi già un pezzo; il riconoscimento, da solo, non serve un granché, se non a stilare liste per lavori futuri, e per compilare una lista può volerci molto tempo: o ti arrendi alla mediocrità scientifica, o fai anche altro, ed è un altro pezzo che ti perdi; una singola specie non la cerca più nessuno, e se la trovi pubblichi al massimo sul bollettino di nonsocosa, roba puntiforme...; ormai la tassonomia la si fa in laboratorio e le parentele si stabiliscono con i metodi molecolari. E insomma, mi sono rivista nei dilemmi che l'autore mette a fuoco. Non è solo un libro che esclama quanto è bellissimamente la biologia, la solita rosa senza spine.
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