Vittorio Sereni

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    Lascio che le cose mi portino altrove

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    Settembre
    Già l'olea fragrante nei giardini
    d'amarezza ci punge: il lago un poco
    si ritira da noi, scopre una spiaggia
    d'aride cose,
    di remi infranti, di reti strappate.
    E il vento che illumina le vigne
    già volge ai giorni fermi queste plaghe
    da una dubbiosa brulicante estate.

    Nella morte già certa
    cammineremo con più coraggio,
    andremo a lento guado coi cani
    nell'onda che rotola minuta.


    Terrazza
    Improvvisa ci coglie la sera.
    Più non sai
    dove il lago finisca;
    un murmure soltanto
    sfiora la nostra vita
    sotto una pensile terrazza.

    Siamo tutti sospesi
    a un tacito evento questa sera
    entro quel raggio di torpediniera
    che ci scruta poi gira se ne va..






    Spesso per viottoli tortuosi
    Spesso per viottoli tortuosi
    quelque part en Algerie
    del luogo incerto
    che il vento morde,
    la tua pioggia il tuo sole
    tutti in un punto
    tra sterpi amari del più amaro filo
    di ferro, spina senza rosa
    ma già un anno è passato,
    è appena un sogno:
    siamo tutti sommessi a ricordarlo.

    Ride una larva chiara
    dov'era la sentinella
    e la collina
    dei nostri spiriti assenti
    deserta e immemorabile si vela
     
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    Intervista a un suicida

    L’anima, quello che diciamo l’anima e non è
    che una fitta di rimorso,
    lenta deplorazione sull’ombra dell’addio
    mi rimbrottò dall’argine.

    Ero, come sempre, in ritardo
    e il funerale a mezza strada, la sua furia
    nera ben dentro il cuore del paese.
    Il posto: quello, non cambiato – con memoria
    di grilli e rane, di acquitrino e selva
    di campane sfatte -
    ora in polvere, in secco fango, ricettacolo
    di spettri di treni in manovra
    il pubblico macello discosto dal paese
    di quel tanto…

    In che rapporto con l’eterno?
    Mi volsi per chiederlo alla detta anima, cosiddetta.
    Immobile, uniforme
    rispose per lei (per me) una siepe di fuoco
    crepitante lieve, come di vetro liquido
    indolore con dolore.
    Gettai nel riverbero il mio perché l’hai fatto?
    Ma non svettarono voci lingueggianti in fiamma,
    non la storia di un uomo:
    simulacri,
    e nemmeno, figure della vita.

    La porta
    carraia, e là di colpo nasce la cosa atroce,
    la carretta degli arsi da lancia fiamme…
    rinvenni, pare, anni dopo nel grigiore di qui
    tra cassette di gerani, polvere o fango
    dove tutto sbiadiva, anche
    - potrei giurarlo, sorrideva nel fuoco –
    anche…e parlando onorato:
    “mia donna venne a me di Val di Pado”
    sicché (non quaglia con me – ripetendomi –
    non quagliamo acque lacustri e commoventi pioppi
    non papaveri e fiori di brughiera)
    ebbi un cane, anche troppo mi ci ero affezionato,
    tanto da distinguere tra i colpi del qui vicino mattatoio
    il colpo che me lo aveva finito.
    In quanto all’ammanco di cui facevano discorsi
    sul sasso o altrove puoi scriverlo come vuoi:

    NON NELLE CASSE DEL COMUNE
    L’AMMANCO
    ERA NEL SUO CUORE

    Decresceva alla vista, spariva per l’eterno.
    Era l’eterno stesso
    puerile, dei territori
    rosso su rosso, famelico sbadiglio
    della noia
    col suono della pioggia sui sagrati…
    Ma venti trent’anni
    fa lo stesso, il tempo di turbarsi
    tornare in pace gli steli
    se corre un motore la campagna,
    si passano la voce dell’evento
    ma non se ne curano, la sanno lunga
    le acque falsamente ora limpide tra questi
    oggi diritti regolari argini,
    lo spazio
    si copre di case popolari, di un altro
    segregato squallore dentro le forme del vuoto.
    …Pensare
    cosa può essere – voi che fate
    lamenti del cuore delle città
    sulle città senza cuore –
    cosa può essere un uomo in un paese,
    sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante
    e dopo
    dentro una polvere di archivi
    nulla nessuno in nessun luogo mai.
     
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1 replies since 18/9/2012, 09:59   80 views
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