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Lascio che le cose mi portino altrove
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Titolo: La parete Autore: Marlen Haushofer Anno:1963 Anobii Una donna, una Robinson Crusoe dei nostri giorni, durante una gita in montagna rimane separata dal resto del mondo da una parete sorta misteriosamente e deve organizzarsi per sopravvivere, maturando un nuovo rapporto con la natura, gli animali, se stessa e il proprio passato. Pubblicato per la prima volta nel 1963, La parete si è imposto solo nell'ultimo decennio come libro•culto tra i lettori di lingua tedesca, parallelamente alla crescita di una nuova coscienza ambientalista e femminile.
Mi hanno consigliato questo libro e l'ho comprato, ma ancora non l'ho letto, è nello scaffale da un po'....
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Lascio che le cose mi portino altrove
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Libro che si lascia leggere tutto d'un fiato. 300 pagine scandite da un linguaggio distaccato, riflessivo, curativo: scrivere per superare il dolore, per superare le perdite, per non impazzire. Questo è quello che fa la protagonista senza nome, una donna sui quaranta (suppongo), che di punto in bianco si trova costretta a revisionare totalmente la sua vita. Nonostante il modo di narrare abbastanza freddo, per non dire glaciale, il romanzo trascina, rapisce, riesce a trasmettere sensazioni vivide e calde, palpitanti. Molti l'hanno paragonato con Robinson Crusoe di Defoe ma mi pare poco calzante, altri con La peste di Camus... ma qui manca il cardine nichilista... Sembra quasi una narrazione distaccata, una presa di coscienza che descriva i sentimenti di un essere alieno.
Adatto al filone post apocalittico, il romanzo narra di questa donna che si trova completamente isolata dal resto del mondo, all'interno di una bolla invisibile e infrangibile - all'esterno tutto è immobile, morto, immutato. Lei si deve lentamente adattare a convivere ai ritmi della natura, imparare a conoscerla e conoscere i pochi animali domestici che si trovano con lei dall'altra parte della parete: un cane, una mucca, una gatta.
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a lot of Flying Teapots with pimpi's vibes
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Letto anche io! Grazie Yel per avermelo prestato, ottimo consiglio come sempre!
È molto forte questo linguaggio distaccato, un atto di salvezza verso il cervello stressato per scongiurare la pazzia una sorta di autoseduta psicologica, una sorta di autodifesa ma allo stesso tempo di presa di coscienza. Ne approfitto per riportare un tratto preso dalla postfazione che descirve il rapporto uomo-natura e uomo-idealizzazione infantile della natura :
CITAZIONE Nei luoghi dell'infanzia i protagonisti credono, o meglio, si illudono di poter trovare l'io originario perso tanto tempo fa, di poter ristabilire l'unità con la natura. Retournons à la nature? Ma che rifugio è mai questo, dove non si parla di nient'altro, o quasi, se non di preoccupazioni, sforzi fisici, paure, perdita di esseri amati e dell'eterno ciclo di vita e morte? Il rifugio che protegge dalla superficialità, dall'ingratitudine, dal superfluo del mondo si dimostra nel contempo una prigione. Infatti neanche la natura, e tantomeno l'infanzia, rappresentano il lato positivo tout court: la natura offre sì rifugio, protezione, cibo, ma uccide ciò che non si adatta, non le si sottomette. ****
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2 replies since 15/11/2011, 22:38 88 views
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