Lessico e nuvole

il meglio di Bartezzaghi

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    www.repubblica.it/rubriche/lessicoenuvole/
    qui voglio segnalare (e segnalate pure voi!) qualche pagina interessante della rubrica lessico e nuvole di stefano bartezzaghi (idolo).



    Anagramma:
    Con Rubi si sollevi.

    Non sto a dire di cosa sia anagramma, perché secondo me si capisce.
    (10 novembre 2010)



    Proverbi autologici

    [...] chiamo "autologico" ogni parola o espressione il cui significato si può applicare anche a sé. Dico che "minuscolo" è autologico se lo scrivo così, e che "pentasillabo", "sdrucciolo", "piano" sono tutte parole autologiche, in qualsiasi modo io le scriva.

    Un proverbio autologico (ma non sono sicurissimo che la dizione sia giusta) è quello che fa effetto su di sé, come appunto "Mal comune, gau".

    Il procedimento è semplice.

    Il proverbio dice: "Mal comune, mezzo gaudio". Ma "mezzo gaudio = gau". Quindi "Mal comune, gau".


    "Chi fa fa fa da sé"

    "Non c'è duetre".

    "Dopo i confettidifetti". Il proverbio originale sarebbe "Dopo i confetti escono i difetti".

    "Altezza, bell".

    "Chi dice danno".

    "Chi mena mena per primo" (Da "Chi mena per primo, mena due volte").

    "Dio lili". Almeno buffo (ovviamente da... li fa poi li accoppia).

    "Errure è umano". Secondo me, questo è un altro gioco.

    "I figli sono cu o re".

    "Le disgrazie disgrazie". (... non vengono mai sole)

    "Uomo avvisato, salv".

    "Tra il dire e il mare il fare".

    "Il riso abbonda sulla bocca degli stolti, ah ah ah!" (mah)

    "Il gioco è bello quando du" (e siamo tornati ai proverbi interrotti).

    Chi ben comincia e
    (Chi ben comincia è a metà dell'(op) e (ra))

    Essere nel clo
    (Essere nell'occhio del (ci)clo(ne))

    Essere una cart
    (Essere una mezza cartuccia)

    Fare il naitsab
    (Fare il bastian contrario)

    La farina del diavolocrusca
    (ovvio)

    il carro ai buoi
    (ovvio)

    muromuro
    (Muro contro muro)

    oro
    (Tagliamo la testa al toro!)
    (09 novembre 2010)







    La rima dell'abaco La voce abaco dello Zingarelli dice:

    abaco o abbaco
    [vc. dotta, lat. ? bacu(m), dal gr. ábax, genit. ábakos 'tavoletta per fare i conti', di etim. incerta; 1261 ca.]
    1 Tavoletta, simile al pallottoliere, usata per eseguire le operazioni dell'aritmetica.
    2 (mat.) Rappresentazione grafica di una funzione di più variabili. SIN. Nomogramma.
    3 (disus.) Arte del calcolo, aritmetica.
    4 Negli ordini architettonici classici, elemento a forma di lastra quadrangolare o di dado, posto tra il capitello e l'architrave

    L'abaco è una bella cosa, e una bella parola. Una bella parola senza rime.

    Lo scorso venerdì dicevo: un amico sosteneva che le tre parole italiane senza rime siano stomaco, uva e fegato.

    Un'amica ha letto la rubrica e mi ha detto: ma come, stomaco non fa rima con abaco?

    No, non fa rima, non più di quanto Telemaco faccia rima con fegato, o uova con uva. Anzi, ora che ci penso Telemaco è più vicino a essere una rima per stomaco, così come Callimaco.
    Perché ci sia una rima bisogna avere due parole che abbiano le stesse lettere (gli stessi fonemi) a partire dalla vocale tonica.
    Ma dov'è la vocale tonica?
    I casi fondamentali sono tre.

    1. La vocale tonica è nell'ultima sillaba. In francese succede praticamente sempre, in italiano meno. La rima viene detta tronca. Tronco significa: con accento sull'ultima sillaba. Il termine più tecnico sarebbe ossitono.
    Se la parola finisce per vocale, non c'è bisogno di altri suoni identici: papà fa rima con chissà, perché fa rima con trentatré; colibrì fa rima con così; oblò fa rima con no; tu fa rima con cucù.
    In tutta la Commedia i versi che finiscono con vocale accentata sono in tutto trentadue (nessuno che finisce per A).
    Si parla di rima tronca anche quando dopo la vocale c'è una consonante o ce ne sono più di una: fan fa rima con cancan; test fa rima con nordest, eccetera.
    In tutta la Commedia di Dante i versi tronchi di questo secondo tipo sono undici: tre in on, tre in or; tre in an e due in oth (sabaoth / malacoth, nella prima terzina del settimo del Paradiso: significano rispettivamente "degli eserciti" e "dei regni", in ebraico).


    2. La vocale tonica è nella penultima sillaba. È lo standard dell'italiano. Le parole che finiscono così si dicono piane o, più tecnicamente, parossitone.


    Il caso di abaco è il terzo, e lo vedremo domani.


    =============

    Noi siam come le sdrucciole Quando un termine ha la vocale tonica sulla terzultima sillaba allora si dice che è sdrucciolo o, nel lessico più tecnico, proparossitono.

    Esercizio: contare quante parole proparossitone ci sono nel primo paragrafo.
    Soluzione: tante: tèrmine, tònica, terzùltima, sìllaba, sdrùcciolo, lèssico, tècnico, proparossìtono.

    La nostra rubrica ha due parole sdrucciole su tre: lèssico e nùvole. Attenzione, però: rubrìca è piano, non pronunciate (come alcuni fanno) rùbrica.

    Molti degli errori di pronuncia che si compiono sono dovuti alla trasformazione di parole piane in sdrucciole:
    amàca, corretto; àmaca, scorretto

    e viceversa:
    baùle, corretto; bàule, scorretto.

    Fare rime sdrucciole non è un affare da poco, perché spesso le parole sdrucciole non hanno rime possibili.

    (20 ottobre 2010)


    =============


    Di rimanti mi parla il lettore Fabio Montermini, che al proposito ha molto da dirci:


    1. Oltre ad essere una bella parola per tutti i motivi che elenchi, abaco ha anche la caratteristica di essere, insieme a fondaco e indaco e a qualche stranezza come epimaco, l'unica parola sdrucciola che finisce in -aco ad avere un plurale in -chi e non in -ci, a fronte di tutta la serie farmaco, monaco, sindaco, stomaco, etc. [nota mia: andarlo a spiegare alle ditte edìli i cui esponenti, almeno a Milano, oltre a chiamarsi regolarmente édili , parlano sempre di intonachi e di scarici ].

    2. Il fatto che abaco non abbia rimanti non è sorprendentissimo. Nelle parole piane il numero di fonemi che seguono l'accento è ridotto (in genere, due), nelle parole sdrucciole è necessariamente più alto, riducendo così le probabilità che ci sia un'altra parola che presenta esattamente la stessa combinazione di fonemi. Magari un bravo matematico potrebbe anche costruire un algoritmo per calcolare le probabilità che una parola piana o sdrucciola abbia dei rimanti...

    3. C'è un'altra serie di parole "bizzarre" in italiano. In genere, infatti, quando la penultima sillaba di una parola è chiusa (finisce per consonante), la parola è piana (contènto: ten). E' una regola quasi senza eccezioni. I manuali di fonologia ne elencano qualcuna, e personalmente sono riuscito a raccogliere quindici parole di questo tipo: otto toponimi (Agordo, Agosta, Lepanto, Levanto, Levanzo, Lipizza, Otranto, Taranto, più un nome di fiume, Ofanto), e cinque nomi comuni (acanto - per il quale i dizionari suggeriscono anche acànto - canederlo, finferlo, mandorla, polizza, a cui bisogna aggiungere, ovviamente, mandorlo). Tutte queste parole, logicamente, non hanno rimanti, tranne, se consideriamo i pronomi clitici, canederlo, che avrebbe crederlo, cederlo, etc., anche se nella mia varietà canederlo è pronunciato con una è aperta, e gli infiniti in questione con una é chiusa.
    ===============
    SE la rima non va allo sdrucciolo, sarà lo sdrucciolo che andrà alla rima: trasformandosi in piano. Così la pensa Paolo Pagani - ma non è il solo, non è il solo -: definendosi "logomaco" ha raccolto la sfida delle (presunte) tre parole senza rima con un paio di epigrammi.

    Ne riporto uno:

    Col mangiare un solo caco
    non si riempie lo stomàco:
    è per questo che il mio gatto
    ha rubato anche il fegatto.
    È sparita pure l'uva
    penso che gatto ci cuva


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