Hoelderlin - L'Utopia del paesaggio interiore

La contemplazione della natura nella poetica di F. Hoelderlin

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. CrashingNightingale
     
    .

    User deleted


    Mia relazione sul paesaggio in Hoelderlin per un 30 di Letteratura Tedesca. :)
    Purtroppo non riesco a copiare le note ma pazienza!

    L’utopia del paesaggio interiore
    La contemplazione della natura nella poetica di Friedrich Hölderlin

    I Le poesie

    Nella poetica di Friedrich Hölderlin, la contemplazione del paesaggio ricopre un ruolo di fondamentale importanza. L’unione con la natura e il conseguente tentativo di superare i confini della parola sono elementi pervasivi nell’approccio del poeta tedesco ad ogni suo scritto. Ad una analisi approfondita, le liriche sembrano essere piccole parti di un’unica e immensa meditazione esistenziale rivestita di un romantico pessimismo; il pensiero è qui forgiato sulla melanconia dell’uomo, essere insicuro che nella contemplazione delle meraviglie naturali prova disperatamente ad instaurare un dialogo con l’indicibile. Il paesaggio di Hölderlin ha anche un aspetto del tutto interiore: l’uomo cosciente della propria imperfezione vorrebbe abbracciare la compiutezza della natura nell’ardente desiderio di capirla e di farla propria, di interiorizzarla per superare il cosciente senso di limitazione e incompiutezza che lo caratterizza.
    Alcuni versi della lirica Der Mensch risultano molto significativi in questo senso:

    Kaum sproßten aus den Wassern, o Erde, dir
    Der jungen Berge Gipfel und dufteten
    Lustathmend, immergrüner Haine
    Voll, in des Oceans grauer Wildniß

    Die ersten holden Inseln; und freudig sah
    Des Sonnengottes Auge die Neulinge
    Die Pflanzen, seiner ew’gen Jugend
    Lächelnde Kinder, aus dir geboren.
    […]
    Des vaters hohe Seele mit deiner Lust
    O Erd’! und deiner Trauer von je vereint;
    Der Göttermutter, der Natur, der
    Allesumfassenden möcht’ er gleichen!
    […]
    Von seines Ufers duftender Wiese muß
    Ins blüthenlose Wasser hinaus der Mensch
    Und gläntz auch, wie die Sternenacht, von
    Goldenen Früchten sein Hain, doch gräbt er

    Sich Höhlen in den Bergen und späht im Schacht
    Von seines Vaters heiterem Lichte fern,
    Dem Sonnengott auch ungetreu, der
    Knechte nicht liebt und der sorge spottet.

    Denn freier athmen Vögel des walds, wenn schon
    Des Menschen Brust sich herrlicher hebt, und der
    Die dunkle Zukunft sieht, er muß auch
    Sehen den Tod und allein ihn fürchten.

    Und Waffen wider alle, die athmen, trägt
    In ewigbangem Stolze der Mensch; im Zwist
    Verzehrt er sich und seines Friedens
    Blume, die zärtliche, blüht nicht lange.

    Le prime due strofe offrono un’immagine di totale armonia. Il poeta parla alla Terra e ne contempla l’estasiante bellezza attraverso le sue meravigliose manifestazioni: acque, monti, boschi,
    oceano, isole, piante. In questo paesaggio governato dalla serenità irrompe l’insicurezza dell’uomo che proprio a quella pace vorrebbe assomigliare.
    Affiorano due figure nettamente distinte: da un lato la natura nella sua estasiante bellezza, del tutto priva di volontà o desideri, libera di comprendere in egual misura gioia e tristezza. Dall’altro l’inquietudine dell’individuo che si porta sull’acqua senza fiori, che scava grotte nelle montagne e scruta nel pozzo nell’incapacità di accogliere e di vivere la bellezza che pur gli viene offerta. La conoscenza non permette all’uomo di respirare come l’uccello del bosco che, ignaro, è libero di essere parte integrante della natura. L’essere umano nella lite consuma se stesso, vede l’oscurità del futuro e teme la morte ritrovandosi afflitto e sconfitto, ancor più distante e imperfetto rispetto alla natura. Un altro limite sembra essere proprio quell’ammirazione per la natura che lo porta inevitabilmente all’invidia e alla brama: cantando la perfezione e la bellezza del paesaggio, il poeta esprime tutto il dolore dell’uomo nel suo caotico e fallimentare tentativo di comprendere.
    Di carattere più soggettivo è l’ode alcaica Abendphantasie, anch’essa ricca di versi significativi per indagare il rapporto del poeta con il paesaggio:

    Wohin denn ich? Es leben die Sterblichen
    Von Lohn und Arbeit; wechselnd in Müh’ und Ruh’
    Ist alles freudig; warum schläft den
    Nimmer nur mir in der Brust der Stachel?

    Am Abendhimmel blühet ein Frühling auf;
    Unzählig blühn die Rosen und ruhig scheint
    Die golden Welt; o dorthin nimmt mich
    Purpurne wolken! und möge droben

    In Licht und Luft zerrinnen mir Lieb’ und Laid! –
    Doch, wie verscheucht von thöriger Bitte, flieht
    Der Zauber; dunkel wirds und einsam
    Unter dem Himmel, wie immer, bin ich –

    In questa lirica si ritrova la contemplazione di un paesaggio immaginario da parte del poeta che si sente essere estraneo in mezzo ai mortali. Importante è sottolineare l’utilizzo della primavera e delle rose in quella che è l’estasi del cielo serale: ritorna la natura, la contemplazione del paesaggio anche quando questo non è realmente presente davanti agli occhi del poeta. La preghiera affinché l’amore e il dolore si disperdano in luce e aria parrebbe il desiderio di superare quei limiti che rendono l’uomo così impotente al cospetto del creato, ossia di portare a sublimazione le emozioni, i pensieri e i sentimenti, concetti del tutto estranei alla natura. La fantasia della sera si rivela una stolta preghiera: il poeta ha concepito e contemplato un paesaggio che si è poi rivelato un incanto ed è in questo momento che si ha il ritorno dalla illusoria primavera iniziale al reale buio che regna nel cielo. L’assenza di luce sembrerebbe essere la raffigurazione dell’incomunicabilità dell’uomo solo, bisognoso di confrontarsi con il divino ma invalidato da quella oscurità che non gli consente di vedere e di sentire la vera essenza della natura.
    In Hölderlin il paesaggio è indubbiamente oggetto di contemplazione malinconica, è il mutevole custode di ciò che il poeta sente perduto ed è palpabile la costante tensione emotiva che accompagna i versi delle sue liriche. Il suo proposito è il raggiungimento della totalità, l’annullamento dei contrasti ovvero «il reperimento di un centro organizzatore delle parti che compongono l’insieme dell’esistenza fisica e spirituale dell’uomo, l’individuazione di un punto di vista superiore che colga in una sola visione totale la fondamentale unità di tutto ciò che esiste» . La pervasiva presenza del paesaggio è indicativa in questo senso: la manifestazione dell’immagine poetica si compie in un solo breve momento e il ruolo del poeta è di cogliere quel momento e trasformarlo in poesia al fine di renderlo eterno. La contemplazione della natura è verità assoluta nell’attimo in cui essa avviene ed è quella precisa descrizione paesaggistica, non frutto di ricordo ma di immediata meditazione, in grado di interrompere l’incontrovertibile dissoluzione delle cose.
    Una lirica di grande importanza nella produzione hölderliniana, del tutto esplicativa in questa analisi, è indubbiamente Hälfte des lebens, appartenente ai Nacht Gesänge.

    Mit gelben Birnen hänget
    Und voll mit wilden Rosen
    Das Land in den See,
    Ihr holden Schwäne,
    Und trunken von Küssen
    Tunkt ihr das Haupt
    Ins heilignüchterne Wasser.

    Weh mir, wo nehm’ ich, wenn
    Es Winter ist, die Blumen, undo wo
    Den Sonnenschein,
    Und Schatten der Erde?
    Die Mauern stehn
    Sprachlos und kalt, im Winde
    Klirren die Fahnen.

    Interamente concepita attraverso il principio della coincidentia oppositorum, la prima strofa presenta la perfetta e armonica unione tra l’ebbrezza dei cigni e la sobrietà dell’acqua in un paesaggio estivo. La seconda mostra un’atmosfera invernale, la proiezione poetica di ciò che succederà all’incantevole scenario iniziale.
    Di fondamentale importanza è in realtà lo spazio che separa le due strofe: quello spazio bianco è paesaggio, è il momento presente, l’istante in cui le cose sono tra l’essere e il non essere in un sublime stato di perfezione e compiutezza. L’intera lirica mostra uno scenario che potremmo definire «liquido», inafferrabile poiché del tutto immediato. Non a caso l’elemento portante è l’acqua in cui tutto si riflette, dove «anche i cigni che, come ogni altro elemento del paesaggio, si rispecchiano nel lago sembrano attratti da quella forza, quasi cercassero, tuffando il capo oltre la superficie, la causa sommersa del riflesso, l’origine dell’immagine di cui essi stessi fanno parte» .
    Il paesaggio è usato magistralmente dal poeta per comunicare la complessità, nonché la fugace totalità dell’attimo della contemplazione: anche il rapporto dell’uomo con la natura assume lo stesso atteggiamento di quei cigni che sembrano cercare una forma reale in un fugace e liquido riflesso. L’ultimo verso della lirica è inoltre affidato ad una immagine di totale incertezza: quelle banderuole, stridenti in balìa del vento, stanno a dimostrare la fugacità di ogni istante nel loro febbrile e disordinato movimento.
    Der Wanderer è un’altra poesia di fondamentale importanza per questo tipo di analisi. Qui troviamo un’opposizione tra due ambienti del tutto opposti: il nord e il sud. Il gelo del polo Nord e il caldo del deserto africano simboleggiano la morte, due paesaggi estremi che non permettono lo svilupparsi della vita. Hölderlin affronta la situazione negativa introducendo immagini positive appartenenti a una natura rigogliosa. «Il miraggio è l’opporsi della fantasia alla dura realtà della natura. Il poeta si trova nella stessa condizione dell’assetato nel deserto, che soffocato dall’opprimente calura, s’immagina la frescura dell’oasi» . Emerge una forte volontà utopistica di reazione al momento negativo; la descrizione della Heimat nella terza parte dell’elegia è il raggiungimento di una realtà viva e armoniosa capace di mediare quegli estremi che erano simbolo di morte. «La natura perciò diventa il simbolo della liberazione da situazioni cristallizzate, tanto è vero che la frequenza delle metafore tratte dal mondo vegetale indica la fiducia in una crescita armonica, la garanzia che, malgrado la delusione sociale, tutto possa essere trasformato» . In Hölderlin la contemplazione della natura è anche questo: è strumento con cui esprimere il disprezzo e la delusione per la società addormentata nonché la nostalgia per l’antichità greca, sempre oggetto di immensa ammirazione da parte del poeta. Nelle sue liriche, Hölderlin contempla il mutamento della natura, il momento della trasformazione che lui auspica anche per la società in cui vive. Il suo amore per il paesaggio sembra così mostrare infinite sfumature, nella ferma volontà di rappresentare l’utopia del cambiamento per divenirne parte integrante e attiva.
    Di carattere diverso sono le liriche appartenenti all’ultimo periodo poetico di Hölderlin, ossia quello di Scardanelli, nome con cui il poeta firmò molti dei suoi scritti negli ultimi anni della sua vita ormai minata dalla follia Non databili con precisione, ma sicuramente collocabili intorno al 1840, sono molte composizioni realizzate sul tema delle quattro stagioni. I titoli di queste liriche sono sempre i medesimi: La primavera, L’estate, L’autunno, L’inverno. Quella di Hölderlin diviene una poesia pura, concettuale, libera da ogni schema. I versi cantano quadri semplici, impalpabili vedute «cui egli assiste senza avvertire più alcun mutamento» . Si tratta di immagini rarefatte, quasi vuote, dove «il povero Hölderlin» sembra finalmente trovare il proprio riposo in una nuova soggettività: «questi versi che cantano le stagioni non sono puri soltanto perché armonici, ma anche perché rinviano alla profondità dell’essere esperita in modo nuovo» .
    Una testimonianza importante di quest’ultima poetica hölderliniana è Die Aussicht, considerata la sua ultima lirica:

    Wenn in die Ferne geht der Menschen wohnend Leben,
    Wo in die Ferne sich erglänzt die Zeit der Reben,
    Ist auch dabei des Sommers leer Gefilde,
    Der Wald erscheint mit seinem dunklen Bilde;

    Daß die Natur ergäntz das Bild der Zeiten,
    Daß die verweilt, sie schnell vorü bergleiten,
    Ist aus Volkommenheit, des Himmels Höhe glänzet
    Dem Menschen dann, wie Bäume Blüth’ umkränzet.

    Mit Unterthänigkeit
    d. 24 Mai
    1748 Scardanelli.

    L’indagine poetica di Hölderlin dimostra di aver raggiunto un assoluto livello ermetico. Nonostante ciò e nonostante l’instabilità mentale dell’ultimo periodo, alcuni elementi sembrano essere persistenti nel rapporto con il paesaggio e, ancor di più, con la natura. La coscienza dei tempi che svelti vanno in contrapposizione a una natura che rimane portano a pensare proprio alle stagioni e al loro perenne ed eterno ritorno dalla morte alla vita, prerogativa divina appartenente a ciò che il poeta vede al di fuori di sé ma che non sente dentro di sé. La reale follia dell’ultimo Hölderlin potrebbe essere la conclusione della poesia che è la vita dell’autore stesso, così capace di esprimere nelle più varie modalità i voli pindarici del suo io, chiamato a cantare l’indicibile alla ricerca dell’unione dell’uno con il tutto.
    I fiori incoronano gli alberi: così si conclude l’ultima poesia della sua esistenza. Gli alberi, spontanei portatori di vita che si innalzano verso l’alto del cielo ricevono in premio una corona di fiori perché sono parte della natura, armonicamente uniti al divino nell’infinita bellezza dell’esistenza. Questa sembra essere la definitiva conferma dell’importanza del paesaggio nell’opera poetica di Friedrich Hölderlin, elemento pervasivo di straordinaria efficacia lungo la sua sterminata produzione ed elemento fondante di una poetica innamorata della natura, elevata e afflitta da quell’intenso romanticismo malinconico che diviene il canto della sua anima.



    II Hyperion

    La contemplazione della natura è elemento fondante anche del romanzo Hyperion . Alcuni passi dell’opera sono veri e propri dialoghi interiori del protagonista in perenne estasi verso la bellezza del creato. A questo proposito si legga il passo seguente, estratto dalla seconda lettera di Iperione a Bellarmino:

    «Ma tu risplendi ancora, o sole nel cielo! Tu verdeggi ancora, o terra sacra! Ancora mormorano i torrenti scorrendo verso il mare, e ombrose piante sussurrano nel meriggio. Il gioioso canto della primavera placa nel sonno i miei mortali pensieri. La pienezza di un mondo che dà vita al tutto nutre e sazia con ebbrezza il mio misero essere. O felice natura! Non mi so render conto di ciò che avviene in me quando levo lo sguardo verso la tua bellezza, ma tutte le gioie del cielo sono nelle lacrime che io verso per la tua bellezza, come l’amante per la sua amata. […] Essere uno con il tutto, questo è il vivere degli dei. Questo è il cielo per l’uomo. Essere uno con tutto ciò che vive e ritornare, in una felice dimenticanza di se stessi, al tutto della natura questo è il punto più alto del pensiero e della gioia, è la sacra cima del monte, è il luogo dell’eterna calma, dove il meriggio perde la sua afa, il tuono la sua voce e il mare che freme e spumeggia assomiglia all’onde di un campo di grano».

    Il poeta si esprime, come in poesia, attraverso la contemplazione della natura. Iperione trova la propria consolazione in tutte le meraviglie del creato, manifestazioni di inesprimibile bellezza che sono una balsamo per la sua malinconia. Il suo proposito è quello di rendere possibile un forte avvicinamento della condizione umana a quella divina, una sorta di compenetrazione di due mondi che permetta all’uomo di tornare al tutto della natura. Procedendo nella lettura del romanzo ci si rende presto conto di come l’animo del protagonista divenga, pagina dopo pagina, sempre più inquieto e nostalgico. Sotto tale aspetto è ancora il tema del paesaggio ad esprimere il cambiamento che avviene in Iperione:

    «L’estate stava per finire; presentivo di già i tetri giorni piovosi, il sibilare dei venti e lo scrosciare dei torrenti ingrossati per la pioggia, e la natura che, come una spumeggiante sorgente, era penetrata in tutte le piante e in tutti gli alberi si presentava ora al mio senso offuscato, chiusa in se stessa e in via di disparire, come avveniva anche in me».

    «Come un torrente fra rive aride, dove nessun ramo di salice si specchia nell’acqua, così scorreva innanzi a me il mondo disadorno».

    I due passi citati risultano di straordinaria efficacia nell’esprimere la tristezza che va impadronendosi dell’animo del protagonista. I suoi pensieri sono terribili considerazioni sul destino umano: Iperione ora sembra accecato, vittima di un bagliore troppo forte, una sorta di Icaro costretto a precipitare dopo essersi avvicinato troppo alla luce, forse oltre il consentito. Dai rigogliosi scenari citati in precedenza, in questi due passi l’intero quadro è pervaso da paesaggi desolati, manifestazioni di una natura divenuta chiusa in se stessa con cui il protagonista non è più in grado di comunicare. Il costante uso del paesaggio conferisce al personaggio un dolore di duplice intensità: la sua capacità contemplativa nei confronti della bellezza della natura lo eleva ad uno stato quasi divino ma è proprio da quello stato di beatitudine che Iperione inizia a precipitare. Dall’estate al mondo disadorno, dalla gioia estatica al nero dolore, dall’amore per Diotima e Alabanda alla solitudine. Il protagonista è costretto a rendersi conto che l’umano e il divino sono del tutto separati e che i suoi propositi di accrescere lo spirito dell’uomo moderno sono destinati a fallire.
    Quello di Iperione è comunque un intento rivoluzionario e la sua ammirazione per la natura va anche intesa in questo senso. In Hölderlin, e in modo particolare nel romanzo, «l’uomo interviene attivamente anche nella costruzione del rapporto con la natura […] solo in seguito allo scacco ed al fallimento del progetto rivoluzionario, la natura viene considerata un rifugio, e perciò la comunicazione panteistica […] ha la funzione di liberare il protagonista dall’isolamento» . La natura è quindi una sorta di forza equilibratrice, un’energia da integrare armonicamente con l’uomo: è proprio questo il punto nodale del fallimento, la presa di coscienza dell’impossibilità di riportare in vita ciò che è perduto manifesta nel radicale e progressivo cambiamento nel rapporto di Iperione con la natura.
    Di fondamentale importanza è l’Hyperions Schicksalslied, presente nel romanzo. Nella terza e ultima strofa, Iperione manifesta la totale disillusione di chi riconosce la tragicità del destino umano nell’impossibilità di provare quella pace così invidiata ai beati:

    Ihr wandelt probe im Licht
    Auf weichem Boden, selige Genien!
    Glänzende Götterlüfte
    Rühren euch leicht,
    Wie die Finger der Künstlerlin
    Heilige Saiten.

    Schicksallos, wie der schlafende
    Säugling, atmen die Himmlischen;
    Keusch bewahrt
    In bescheidener Knospe,
    Blühet ewig
    Ihnen der Geist,
    Und die seligen Augen
    Blicken in stiller
    Ewiger Klarheit.

    Doch uns ist gegeben,
    Auf teine Stätte zu ruhn,
    Es schwinden, es fallen
    Die leidenden Menschen
    Blindlings von einer
    Stunde zur andern,
    Wie Wasser von Klippe
    Zu Klippe geworfen,
    Jahrlang ins Ungewisse hinab.

    Ritroviamo l’immagine dell’acqua, qui associata all’uomo che rimbalza da scoglio a scoglio per anni nell’incerto giù. La vita umana viene rappresentata come costituita da pensieri fugaci, da domande che non troveranno risposte certe in un destino già scritto e governato dall’insicurezza. «Vecchia regola di prudenza è attenersi a una concezione della vita assoggettata al posto cui il destino, fin dalla nascita, ha collocato l’individuo» .
    In Hyperion ogni elemento è continuamente filtrato dalla percezione e dalle emozioni del protagonista che, nel bene e nel male, è capace di contemplare tanto la tragicità quanto la magnificenza di quelli che sono gli oggetti delle sue riflessioni. «I luoghi, le cose, gli altri con cui entra in rapporto non appaiono dunque nella loro autonoma specificità, non sembrano possedere un loro carattere indipendente, ma sussistono nella loro relazione tra loro e con il protagonista come proiezioni, come riflessi della sfera interiore dello stesso protagonista» . Pertanto quello di Iperione è anche un susseguirsi di viaggi ed esplorazioni interiori attraverso i paesaggi più vari, rappresentazioni emotive dei suoi stati d’animo che lo accompagnano durante l’intero romanzo.
    A conclusione di questa analisi, sembra di forte interesse prestare attenzione a ciò che Iperione definisce la perfezione che noi collochiamo al di sopra delle stelle in uno straordinario momento di prosa lirica:

    O voi, che cercate quanto vi è di più alto e di più perfetto, nella profondità della sapienza, nel tumulto dell’azione, nel buio del passato, nel labirinto del futuro, nelle tombe e al di sopra delle stelle! conoscete il suo nome? il nome di ciò che è uno e tutto? Il suo nome è bellezza.

    Questo passo può essere considerato il culmine di ciò che è il paesaggio in Hölderlin. La bellezza è uno e tutto, l’unica forza in grado di unire le tombe a ciò che è al di sopra delle stelle, è la contemplazione della natura della sua totalità nonché momento d’amore supremo. É l’utopia del paesaggio interiore in quel fuggevole istante di estatica contemplazione del tutto, in grado di unire meraviglia e disperazione nella contemplazione di un singolo momento.












    BIBLIOGRAFIA


    Testi di Friedrich Hölderlin

    - F. Hölderlin, Le stagioni, traduzione e cura di G. Moretti, Bibliotheca, Gaeta, 1993
    - F. Hölderlin, Poesie, traduzione e cura di L. Crescenzi, BUR, Milano, 2006
    - F. Hölderlin, Iperione, traduzione e cura di G.V. Amoretti, Feltrinelli, Milano, 2007


    Saggi critici

    - G. Scimonello, Hölderlin e l’utopia. Uno studio sociologico sul rapporto tra natura, storia e poesia nella sua opera, AION, Napoli, 1976
    - G. Pestelli, Canti del destino: studi su Brahms, G. Einaudi, Torino, 2000
    - Ch. Sandrin, Da Omero a Colombo. Itinerario attraverso l’opera di Friedrich Hölderlin, C. Marinotti, Milano, 2002
     
    Top
    .
0 replies since 13/7/2009, 10:04   3818 views
  Share  
.