Posts written by Nebularina

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    Ho iniziato!
    Ho letto la prima pagina!

    CITAZIONE
    E’ cominciata così. Io, avevo mai detto niente. Niente. E’ Arthur Ganate che mi ha fatto parlare. Arthur, uno studente, un fagiolo anche lui, un compagno. Ci troviamo dunque a Place Clichy. Era dopo pranzo. Vuol parlarmi. Lo ascolto. -Non restiamo fuori! mi dice lui. Torniamo dentro!-. Rientro con lui. Ecco. -Sta terrazza, attacca lui, va bene per le uova alla coque! Vieni di qua-. Allora, ci accorgiamo anche che non c'era nessuno per le strade, a causa del caldo; niente vetture, nulla. Quando fa molto freddo, lo stesso, non c'è nessuno per le strade; è lui, a quel che ricordo, che mi aveva detto in proposito: - Quelli di Parigi hanno sempre l'aria occupata, ma di fatto, vanno a passeggio da mattino a sera; prova ne è che quando non va bene per passeggiare, troppo freddo o troppo caldo, non li si vede più; son tutti dentro a prendersi il caffè con la crema e boccali di birra. E’ così! Il secolo della velocità! Dicono loro. Dove mai? Grandi cambiamenti! Ti raccontano loro. Che roba è? E’ cambiato niente, in verità. Continuano a stupirsi e basta. E nemmeno questo è nuovo per niente. Parole, e nemmeno tante, anche le parole che son cambiate! Due o tre di qui, di là, di quelle piccole...- Tutti fieri allora d'aver fatto risuonare queste utili verità, siamo rimasti là seduti, incantati, a guardare le dame del caffè.

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    Ellen la tua maledetta firma mette un'ansia terribile ahahaha XD
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    Mi stavo quasi per dimenticare!!
    Finito di leggere due giorni fa, lettura molto piacevole e decisamente scorrevole, il libro si mangia!!! :uah:
    CITAZIONE (Yelena‚ @ 22/3/2011, 09:07) 
    Sììì!
    Mi è piaciuto molto perché si vede che Nives è molto terra terra, ma allo stesso tempo estremamente poetica.... All'opposto di Erri, che è molto poetico ma concreto. La differenza è tutta nell'approccio: lui filosofeggia lei lo riporta alla realtà dura della fatica e del freddo, ma allo stesso tempo si capiscono perfettamente...

    :°_°: non potevi dirlo meglio!!! ahahahaha è proprio così! Ed è forse la cosa più affascinante del libro, il tutto ambientato e contestualizzato a mille e mille metri di quota. Lei ha delle uscite troppo buffe e assurde in alcuni punti X°D con questa sua visione molto pragamtica, materiale, ma così rispettosa che intenerisce ed esalta, ed effettivamente trovo che il nomignolo di tigre le si addica proprio. Lui è sempre lui, a tratti invasato, reverentemente orgoglioso della sua modesta ed importante vita
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    Uhhh benvenutaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!
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    Mmm che indecisioneeee :@:

    Comunque noto che ormai è diventato un forum bello tosto! Non pensavo di trovare tante adesioni a Battle royale!!
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    :uah:
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    ...quindi...quindi...niente Sartre? bhuaaa bhuaaaaa
    XD
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    Guarda io già ho cambiato rotta verso Sartre...ma è una cosa che bisogna ponderare bene uhm uhm mumble mumble
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    ahahaha era solo una domanda la mia!! io se posso proporre qualcosa ti "FAREI" leggere qualcosa di Sartre, ovviamente qualcosa che ho già letto io così sento il tu parere ahahahaahha
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    ...oddioooooooo......
    mmmmmm.....ma si deve essere sadici?
    no perchè in caso io propongo la saga di twilights per entrambe!!! XD
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    Ho trovato molto interessante il nuovo modo relazionare che si può intravedere tra editore, autore, lettore, certo c'è il rischio che paroloni come "esperienza" rimangano fine a se stessi, ma di fornte al titolo dell'articolo piuttosto triste sembra che almeno si possa ancora giocare

    CITAZIONE (Nebu @ 20/3/2011, 14:49) 
    «Gli editori devono capirlo», continua, «e devono capire che la prima abilità che devono acquisire è la capacità di ascolto. Devono imparare ad ascoltare con attenzione e umiltà perchè non c'è più il mercato della manifattura di prodotti. Oggi siamo nel mercato dei servizi scrittori-lettori».

    ...servizi scrittori-lettori....speriamo bene!!! ^_^
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    °_° comprendo!!!
    Che peccato!!!
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    CITAZIONE (larva_violetta @ 21/3/2011, 21:51) 
    "Laerte lo avvita".

    :°_°:
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    Iniziato da poco e non sembra male, sembra una specie di dialogo distillato e sigillato in parole chiave, sembra uscirne fuori parte della personalità di Erri quanto quella di Nives, sembra molto intimista...me li immagino racchiusi nella neve che spaziano con la mente, tra aria rarefatta e freddo pungente.

    Alcuni passaggi non sono male, Erri ha sempre queste frasi interessanti che ogni tanto qua e là emergono durante la lettura.
    Nives invece ha questo carattere che lascia intendere che il nomiglono tigre non gli sta poi così male! ahahaah

    Vedremo come prosegue
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    SPOILER (click to view)
    Se stesso, da se stesso, solo UNO eternamente, e singolo.
    (PLATONE - Convivio, 211, XXIX)



    Consideravo la mia amica Morella con un sentimento in cui si mescolava il
    piu' profondo e al tempo stesso singolarissimo affetto. L'avevo
    conosciuta per caso molti anni prima, ma la mia anima, al nostro primo
    incontro, aveva appreso ad ardere di fuochi sino ad allora sconosciuti;
    non erano pero' i fuochi di Eros, e amaro e tormentoso al mio spirito era
    il graduale convincimento di non essere in grado di definire in modo
    alcuno il loro insolito significato, o di regolarne la misteriosa
    intensita'. Tuttavia ci vedevamo spesso, e il destino ci lego' insieme
    all'altare; ma mai io le parlai di passione, o pensai all'amore. Morella
    pero' scansava la societa', e attaccata soltanto a me mi rendeva felice.
    Era una felicita' che rapiva, una felicita' di sogno.

    La sua erudizione era profonda. Le sue doti psichiche erano di ordine non
    comune, le sue facolta' mentali titaniche. Io sentivo questo, e sotto
    molti aspetti divenni suo alunno. Ben presto tuttavia mi accorsi che,
    forse causa la sua educazione presburghese, ella mi poneva dinanzi molti
    di quegli scritti mistici che di solito vengono considerati semplicemente
    come le scorie della primitiva letteratura tedesca. Per motivi che non
    sapevo immaginare, questi scritti rappresentavano il suo studio costante
    e favorito; e che col passar del tempo divenissero a mia volta la mia
    occupazione principale, e' da attribuirsi al semplice ma efficace
    influsso dell'abitudine e dell'esempio.

    In tutto cio', se non erro, poco aveva che vedere la mia ragione. Le mie
    convinzioni, o io dimentico me stesso, non erano affatto dettate
    dall'ideale, ne' era possibile rintracciare sia nelle mie azioni sia nei
    miei pensieri anche la minima sfumatura del misticismo di cui leggevo, a
    meno che io non m'inganni grandemente. Persuaso di cio', mi abbandonai
    implicitamente alla guida di mia moglie e penetrai col cuore risoluto
    negli intrichi dei suoi studi, e in seguito, allorche', meditando
    assiduamente su pagine proibite, io sentivo accendersi dentro di me uno
    spirito proibito, Morella soleva porre la sua fredda mano sulla mia, e
    frugare tra le ceneri di una filosofia morta qualche strana, singolare
    parola, il cui misterioso significato s'imprimeva bruciante nella mia
    memoria. Allora, per ore ed ore, io indugiavo al suo fianco, inebriandomi
    della musica della sua voce, sino a quando, a un tratto, la sua
    musicalita' si soffondeva di terrore: allora un'ombra cadeva sulla mia
    anima, e io impallidivo e rabbrividivo interiormente a quegli accenti
    troppo ultraterreni. Allora la gioia si tramutava improvvisamente in
    orrore, e il supremamente bello di faceva ributtante, cosi' come Hinnon
    divenne Gehenna.

    E' inutile che io ricordi qui la natura esatta di quelle disserzioni che,
    provocate dai volumi di cui ho detto, formarono per tanto tempo quasi
    l'unico argomento di conversazione tra Morella e me. Da coloro che son
    dotti in cio' che potrebbe essere definita morale teologica esse saranno
    prontamente comprese, mentre i profani non riuscirebbero a intenderle o
    quasi. L'avventato panteismo di Fichte; la palingenesi modificata dei
    Pitagorici, e soprattutto le dottrine intorno all'IDENTITA' proposte da
    Schelling, erano solitamente i punti di discussione che presentavano la
    maggiore bellezza al temperamento immaginativo di Morella. Questa
    identita' che viene detta personale, e' definita giustamente dal Locke,
    io credo, come consistente nella sanita' di mente di un essere razionale.
    E poiche' per persona noi intendiamo un'essenza intelligente dotata di
    ragione, e dal momento che vi e' una consapevolezza che sempre accompagna
    il pensiero, e' questa consapevolezza che ci fa essere tutti quel che noi
    chiamiamo NOI STESSI, distinguendoci con cio' dagli altri esseri
    pensanti, e donandoci la nostra identita' personale. Ma il PRINCIPIUM
    INDIVIDUATIONIS, il concetto di quell'identita' CHE IN MORTE E' O NON E'
    PERDUTA PER SEMPRE, e' sempre stato per me una considerazione del piu'
    alto interesse, non tanto per la sconcertante ed eccitante natura delle
    sue conseguenze, quanto per il modo strano ed esagitato con cui Morella
    ne faceva parola.

    Ma era ormai venuto il tempo in cui il mistero dell'atteggiamento di mia
    moglie mi opprimeva come un sortilegio: non riuscivo piu' a sopportare il
    tocco delle sue esili dita, ne' il tono sommesso della sua musicale
    favella, ne' lo sfavillio dei suoi occhi malinconici. Ella comprendeva
    tutto cio', ma non si ribellava; sembrava essere conscia della mia
    debolezza o della mia follia, e sorridendo chiamava questo Destino.
    Sembrava anche consapevole della causa a me sconosciuta di questa
    graduale alienazione del mio affetto, ma non mi fece mai cenno o
    spiegazione della natura di questa causa. Ma era sempre donna, e di
    giorno in giorno si struggeva. In breve una macchia vermiglia si fisso'
    inesorabile sulle sue guance, le vene azzurre sulla sua pallida fronte
    risaltarono dolorosamente; a volte mi sentivo sciogliere di pieta', ma
    subito incontravo lo sguardo dei suoi occhi carichi di significato, e
    allora la mia anima si ritraeva angosciata e stordita dello stordimento
    di chi si chini a fissare un cupo insondabile abisso.

    Dovro' dunque dire che attendevo con un desiderio ansioso, divorante, il
    momento del trapasso di Morella? Eppure e' vero, ma il fragile spirito si
    avviticchio' al suo abitacolo di creta, per molti giorni, per molte
    settimane e tediosi mesi, sino a che i miei nervi tormentati ottennero il
    dominio della mia mente, e il ritardo mi infurio', e con cuore demoniaco
    maledissi i giorni, le ore, gli amari momenti che sembravano allungarsi
    senza fine mentre la sua dolce vita declinava cosi' come si allungano le
    ombre nello smorire del giorno.

    Ma una sera d'autunno, mentre i venti sostavano immoti nel cielo, Morella
    mi chiamo' al suo capezzale. Una incerta foschia avvolgeva tutta la
    terra, e dalle acque si levava un caldo riflesso, e tra le opulente
    foglie della foresta autunnale un'arcobaleno era certamente caduto dal
    firmamento.

    - Questo e' il giorno dei giorni, - mi disse allorche' mi avvicinai a
    lei; - il giorno fra tutti, sia per vivere che per morire. E' un giorno
    bellissimo per i figli della terra e della vita... ma quanto piu' per le
    figlie del cielo e della morte!

    La baciai sulla fronte, ed ella prosegui':

    - Sto per morire, e tuttavia vivro'.

    - Morella!

    - Non sono mai venuti i giorni in cui tu mi avresti potuto amare, ma
    colei che in vita hai aborrito, in morte adorerai.

    - Morella!

    - Ti ripeto che sto per morire, ma in me vi e' il pegno di quell'affetto,
    oh, ben misera cosa! che tu hai provato per me, Morella. E quando il mio
    spirito si sara' dipartito, la creatura vivra': la tua creatura e la mia,
    la creatura di Morella. Ma i tuoi giorni saranno giorni di dolore, di
    quel dolore che e' il piu' duraturo dei sentimenti, cosi' come il
    cipresso e' il piu' annoso degli alberi. Infatti le ore della tua
    felicita' sono terminate, giacche' la gioia non si raccoglie due volte in
    una vita, come si raccolgono invece due volte nello spazio di un anno le
    rose di Pesto. Tu pertanto non innalzerai piu' al tempo versi teani, ma
    ignorando il mirto e la vigna recherai indosso a te il tuo sudario sulla
    terra, come fanno i musulmani che si recano alla Mecca.

    - Morella! - esclamai, - Morella! Come puoi tu sapere questo? - Ma ella
    distolse il suo viso e lo affondo' nel guanciale, e cosi' mori', mentre
    un lieve tremito le agitava le membra; e io non udii piu' la sua voce.

    Come pero' aveva predetto, la sua creatura, alla quale nel morire aveva
    dato luce e che non respiro' se non quando la madre ebbe cessato di
    respirare, la sua creatura, una bambina, visse. E questa crebbe
    stranamente di statura e d'intelletto, ede era l'immagine perfetta di
    colei che era scomparsa, e io l'amai di un amore tanto fervido quale non
    credo possa essere sentito da un altro abitante di questo pianeta.

    Ma ben presto il paradiso di un cosi' puro affetto si oscuro' e su di
    esso si addensarono nubi di afflizione, di orrore, di amarezza. Ho detto
    che la bambina cresceva stranamente in statura e intelligenza. Strana in
    verita' era la rapida crescita delle sue forme corporee, ma terribili,
    oh, terribili erano i pensieri tumultuosi che si affollavano entro di me
    mentre io osservavo lo sviluppo del suo essere mentale. Come poteva
    essere altrimenti allorche' io di giorno in giorno scoprivo nei concetti
    della bambina i poteri adulti e le facolta' della donna? Allorche' le
    lezioni dell'esperienza erano proferite dalle labbra dell'infanzia?
    Allorche' di ora in ora vedevo scintillare nel suo sguardo pieno,
    speculativo, la saggezza e le passioni della maturita'? Quando, ripeto,
    tutto cio' divenne manifesto ai miei sensi smarriti, quando non mi fu
    piu' possibile celare questo alla mia anima, ne' scacciare tale realta'
    dalla ragione che tremava di accoglierla, e' da stupire che nel mio
    spirito prendessero a insinuarsi sospetti di carattere pauroso,
    sconvolgente, o che i miei pensieri tornassero atterriti a rimuginare i
    misteriosi racconti e le audaci teorie della sotterrata Morella?
    Sottrassi alla curiosita' del mondo un essere che il destino mi
    costringeva ad adorare, e nella inflessibile reclusione della mia casa
    sorvegliavo con disperata angoscia tutto cio' che si riferiva alla mia
    diletta. E piu' gli anni passavano, e io studiavo, giorno per giorno, il
    suo volto austero, dolce, eloquente, e meditavo sul rapido maturare delle
    sue forme, giorno per giorno scoprivo nuovi punti di rassomiglianza tra
    la creatura e la madre, tra la malinconica e la morta. E d'ora in ora
    quelle ombre di somiglianza s'incupivano e si facevano piu' piene, piu'
    definite, piu' conturbanti, piu' spaventosamente terribili nel loro
    aspetto. Che il suo sorriso fosse identico a quello della madre ancora
    potevo sopportarlo; ma subito rabbrividivo a quella troppa perfetta
    IDENTITA'. Che i suoi occhi fossero come gli occhi di Morella potevo
    sopportarlo; ma ecco che troppo spesso essi scandagliavano le profondita'
    del mio spirito con lo stesso intenso sconvolgente significato degli
    occhi di Morella. E nel contorno dell'alta fronte, nei riccioli dei
    serici capelli, nelle fragili dita che si affondavano in essi, nei tristi
    accenti musicali della sua voce, e soprattutto, oh, soprattutto nelle
    frasi e nelle espressioni della morta sulle labbra dell'amata e della
    viva, io trovavo alimento a un pensiero e a un orrore divoranti, a un
    verme che NON VOLEVA morire.

    Trascorsero cosi' due lustri della sua esistenza, ma sino ad allora la
    mia figliuola era rimasta senza nome sulla terra. "Bambina mia" e "amor
    mio" erano gli appellativi suggeritimi di solito dall'affezione paterna,
    mentre il rigido isolamento delle sue giornate precludeva ogni altro
    rapporto. Il nome di Morella era morto con lei nel punto della sua morte.
    Della madre io non avevo mai parlato alla figlia; era impossibile che ne
    parlassi. In realta' durante il breve periodo della sua esistenza la
    giovane creatura non aveva ricevuto dal mondo esteriore sensazione alcuna
    se non quelle consentitele dai ristretti limiti dela sua solitudine. Ma
    alla fine la cerimonia del battesimo si offri' alla mia mente turbata e
    agitata come una pronta liberazione dai timori angoscianti del mio
    destino. Pero' dinanzi al fonte battesimale esitai prima di proferire il
    nome. E molti appellativi saggi e belli, di tempi antichi e moderni,
    della mia terra e di terre straniere, si affollarono alle mie labbra
    insieme a molti dolci nomi gentili, felici, buoni. Che cosa mi spinse
    dunque a evocare la memoria della donna sepolta? Quale demone mi incalzo'
    a proferire quelle sillabe che, allorche' soltanto le ricordavo, solevano
    far rifluire in torrenti purpurei il mio sangue dalle tempie al cuore?
    Quale maligno spirito parlo' dai recessi della mia anima quando tra le
    aeree navate, nel silenzio della notte, io bisbigliai all'orecchio
    dell'uomo di Dio le sillabe: "Morella"? Quale essere peggiore di ogni
    infernale abitante nell'abisso contorse i tratti della mia creatura, li
    soffuse dei toni della morte, mentre, trasalendo a quel suono di lettere
    appena percettibili, ella volse i vitrei occhi dalla terra al cielo e
    cadendo prostrata sulle lastre della nostra cripta avita rispose
    "Eccomi"?

    Distinte, freddamente, calmamente distinte, caddero quelle poche semplici
    lettere entro il mio orecchio e di li' come piombo fuso schizzarono
    sibilando nel mio cervello. Gli anni, molti anni, potranno passare, ma la
    memoria di quell'attimo, mai! Ne' io ignorai certo i fiori e la vigna, ma
    la cicuta e il cipresso mi addugiarono notte e giorno. Ne' piu' tenni
    calcolo del tempo o del luogo, e le stelle del mio destino svanirono dal
    firmamento, e la terra si incupi', e le sue creature mi passarono
    davanti, simili a vane ombre, e tra tutte queste io ne vedevo una sola:
    Morella. I venti dell'etere soffiavano entro le mie orecchie un unico
    suono, e le increspature del mare mi mormoravano senza posa: - Morella. -
    Ma ella mori', e con le mie proprie mani io la calai nella tomba, e risi
    di un lungo amaro riso quando, nella cappella funebre dove avevo deposto
    la seconda, non trovai piu' alcuna traccia della prima Morella.
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